Pablo Neruda e Insetti


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Per Matilde e per la pace (1962-1963) - 1^ parte

NERUDIANA DISPERSA - vol. I (1915-1964) > da 1952 a 1963

Per Matilde e per la pace
(1962-1963)


I: TESTI POLITICI

Al Partito Comunista del Cile nel suo quarantesimo anniversario
AL PARTIDO COMUNISTA DE CHILE EN SU CUADRAGÉSIMO ANIVERSARIO (Pagine 1105-1108.) siamo i vincitori di Pisagua! Il nome del campo di concentramento creato con la Legge di Difesa della Democrazia (González Videla) condensa in chiave nazionale le difficoltà di ogni tipo (includendo le internazionali) che i comunisti hanno dovuto affrontare negli anni recenti.

Partito,
mio partito!
Quanto dolore, amore
e gloria rinchiudi!
Che lunga storia pura
e lotta lunga!

Sei una catena
di uomini concatenati,
fermi e seri, forti
e semplici,
larghi di cuore,
duri di mano,
con gli occhi chiusi
alla morte,
con gli occhi aperti
alla vita:
all'improvviso, qualcuno manca
ed un altro arriva,
all'improvviso qualcuno cade
ed un altro cresce e si colmano le assenze
col metallo umano, innumerabile!

Partito, mio partito!
Sento di non essere stato
nella tua culla di rame,
la nascita:
erano tempi difficili,
era la strada dura
quando il paese del Cile con una pietra al collo
ed in fondo ad un pozzo
vide che lo sostenevano e lo aiutavano
e che la pietra stava
ora nella sua mano,
vide che non era solo
e si sentì crescere, crescere, crescere,
e cresceva la pietra con la mano.

Là lontano Ottobre
stabiliva
l'ordine dei popoli:
un raggio rosso
aveva mozzato,
la pace dei boia
ed il martello di acciaio
si unì alla falce del grano:
da allora
falce e martello furono la bandiera
degli abbandonati.

Partito, mio partito!
Mi sembra
ancora vedere Recabarren
appoggiato alla porta
della Federazione degli Operai.
Io avevo quindici anni.
I suoi occhi si socchiudevano
scorgendo
la Pampa, le sabbie
desolate
che attraversò passo a passo
costruendo
le vittoriose
organizzazioni.
Padre del nostro paese!
Gigante
compagno!

Come si semina il grano
rovesciandolo
così
fondò la stampa
proletaria.
Io ho visto
quelle
macchine rotte
dai boia della polizia
che vollero così ammazzare la luce.
Ho passato la mano
per il ferro
che conservava nella sua materia liscia
il ricordo del tatto
di quello sua mano, fondatrice,
e ancora la vecchia macchina lottava,
ancora imprimeva il nostra parola,
conservava ancora il ferro castigato
la sua profonda interezza
come se il cuore di Recabarren
ancora per noi palpitasse.

Partito, mio partito!
Che lunga lotta, lunga
come il Cile,
crudele come
il territorio duro
della patria!
Percorsi con Elías
le sabbie
del Nord desolato,
e con Luis Corvalán la terra verde
del Sud, e vidi arrivare i comunisti
da crudeli deserti,
salire
dalla miniera oscura
col sorriso chiaro
di chi sa la strada,
e sappiamo già, chiari compagni,
che tradimento o martirio non poterono
niente contro noi:

siamo i vincitori di Pisagua!

A quelli che arrivano ora,
ai giovani,
ai lavoratori
dall'alba al tramonto, del campo, contadini,
ai ragazzi
delle miniere ripide,
della città, inquieti,
di fabbriche, officine, uffici,
dico:
questo è il pane ed il vino
del partito,
questo è il libro e l'esempio: Lenin,
l'esempio in azione è Recabarren,
l'uomo proletario è la nostra forza
e la nostra stella la famiglia umana!

La nostra strada è larga.
C'è posto al nostro lato per tutti.

Principios, organo ufficiale del Partito Comunista
del Cile, num. 88, Santiago, gennaio-febbraio 1962.


La prodezza sovietica

Evviva la Terra. Quando si parla di questi due nuovi cosmonauti in volo, che girano per lo spazio che non è stato mai misurato che non può essere misurato, pensiamo: che cosa si può dire? Gli aggettivi si sono dichiarati in bancarotta. Non servono i "meravigliosi" ed i "fantastici." Queste parole sono ben piccole come cucchiai piccoli che tirano fuori acqua dal mare: dal mare e dallo spazio. Dallo spazio in cui volarono, navigarono, corsero nostri due cosmonauti. Dico nostri perché essi non appartengono solo all'Unione Sovietica, che rappresentano tra i pianeti, ma appartengono al mondo intero, a tutta la scienza, al progresso umano e naturalmente alla poesia. La poesia deve cercare nuove parole per parlare di queste cose, per parlare di questi avvenimenti che si realizzano.
Quando queste novità della vita nuova, specialmente del mondo socialista, erano solo profezie, si predissero con un ricco vocabolario. Lo stesso Jules Verne, gran profeta romantico, inventò affascinanti anticipazioni, parlò in maniera appropriata popolando di miti sotterranei e celesti quello che accadeva allora e quello che andava ad accadere dopo.
Poco tempo fa a Mosca vidi per la prima volta un dizionario di termini fisiconucleari. Mi meravigliai perché, tranne la parola
atomo-reattore, e poche altre, non conoscevo nessuna delle molte che riempiono come colonne chiuse questo libro singolare. Quelle che lessi e che non compresi mi sembrarono parole chiaramente poetiche, assolutamente necessarie alle nuove odi, ai futuri canti, alla poesia che porrà in relazione in modo più stretto l'uomo di oggi con lo spazio sconosciuto e con l'uomo futuro mi resi conto che la poesia è rimasta indietro, possibilmente i romanzi di fantascienza che ancora non conosco contengono alcuni dagli elementi imponderabili dell'atmosfera misteriosa e del magico vocabolario dell'anticipazione. Ma rimarrà sempre molto fare. Questi due cosmonauti che comunicano tra loro che sono esaminati e diretti dal nostro pianeta lontano, che dormono e mangiano nel cosmo sconosciuto sono i poeti scopritori del mondo. Ed in questo nuovo Parnaso, Gagarin, Titov, hanno anche il loro diadema, ma manca che i poeti incorporino, prima e dopo avere volato con gli astronauti, la sensazione nuova che significa la dominazione dell'universo infinito.
Ascendendo tanto in alto sono arrivati ad essere anche i più universali della nostra epoca. Hanno visto la Terra nella sua vera dimensione. E questa dimensione, che non potevamo sentirla prima, ora si è vista come si vede una mela su un tavolo. A questo dobbiamo aggiungere che sono i principali fondatori di un nuovo patriottismo, del patriottismo planetario. Gli uomini della mia età e molti altri prima, fummo orgogliosi del nostro villaggio, della nostra patria, della geografia del nostro continente, delle nostre piccole o grandi rivoluzioni. È l'epoca in cui gli esseri sono orgogliosi del loro pianeta. Arriveremo a raffrontare coi lunari le bellezze della luna, coi venusiani le montagne diamantine di Venere, coi saturniani il prodigioso anello che circonda il loro pianeta. Discuteremo con essi, esagerando le nostre cordigliere, i nostri laghi e le nostre opere umane. Saremo allora davvero uniti da un orgoglio terrestre. Le nostre guerre fredde e calde saranno finite. Ameremo e difenderemo il nostro pianeta.
Onore alla nuova scienza spaziale. Vivano gli astronauti sovietici. Evviva la Terra.

Testo scritto in aereo, volando tra Sochi e Mosca,
mentre le capsule Vostok III e Vostok IV giravano in
tornio alla Terra pilotate per Adrián Nikoláiev e Pável
Popóvicb, agosto 1962. Ripreso da El Siglo, Santiago,
18.8.1962. Alcuni settimane dopo, Neruda riutilizzerà
questo stesso articolo - ampliandolo – all’inizio di un
suo discorso "Con los católicos hacia la paz", vedere
p. 1115 del presente volume.


Il continente della speranza

All'America Latina piace molto la parola
speranza. Ci piace che ci chiamino "continente della speranza". I candidati a deputati, a presidenti si autotitulano "candidati della speranza".
In realtà, questa speranza è come il cielo promesso, è qualcosa di indefinito, una promessa di pagamento, il cui compimento si proroga. Si proroga al prossimo periodo legislativo, al prossimo anno o al prossimo secolo.
Quando si produsse qualcosa di simile in Cuba, recentemente, milioni di sudamericani ebbero un brusco risveglio. Non credevano a quello che ascoltavano. Questo non stava nei libri di un continente che ha vissuto disperatamente, pensando alla speranza.
All'improvviso, ecco qui che Fidel Castro, un cubano che prima nessuno conosceva, afferrava la speranza per i capelli o per i piedi, prima che volasse e la sedeva alla tavola, cioè, al tavolo ed alla casa dei paesi dell'America.

CARRETTE E FANGO

Da allora, per dire la verità intera, abbiamo progredito molto in questo cammino della speranza fatta realtà. Ma viviamo con l'anima in un filo. Un paese vicino molto poderoso vuole schiacciare Cuba con la speranza e tutto. Le masse dell'America leggono tutti i giorni le notizie, ascoltano la radio tutte le notti. Sospirano di soddisfazione. Cuba esiste. Un giorno di più. Un anno di più. La nostra speranza non è stata decapitata.
Nella regione dove io crebbi ci sono molta pioggia e molto vento. Di fronte alla mia casa nella mia infanzia la strada si trasformava in un fiume di fango.
La mia gran distrazione infantile era vedere i carretti vinti dal fango. I buoi li tiravano invano. Si scuoteva il carretto come un'imbarcazione nel mare, ma le ruote di un solo pezzo di legno affondavano sempre di più nel liquido nero dell'inverno. Per arrivare alla mia scuola, spesso con le scarpe rotte, io dovevo fare acrobazie da una pietra ad un'altra per non rimanere attaccato come il carretto.
La mia città è cambiata per lo meno in quella strada che è ora pavimentata. Continuano a passare gli stessi carretti con grano, con sacchi di patate, con agnelli. Non rimangono oramai seppellite lì, di fronte alla mia antica casa, ma un po' più lontano, in un’altra strada, di fronte ad altre case in cui forse un bambino simile a quello che io fui la guarda con profondo interesse dalla finestra.
Prima del 1914, noi, milioni di persone che parliamo spagnolo ed altre lingue in America del Sud, avemmo la speranza che il secolo XX che allora aveva pantaloni corti finisse con i carretti e con il fango.
La verità è che continuiamo a sperare. C'era sempre una guerra che impediva di pavimentare la strada, di fare scuole, creare nuovi ospedali, in Europa si sparavano coscientemente tedeschi e francesi, bulgari e turchi, austriaci e russi.

SENZA NESSUN ENTUSIASMO

In America, per non essere meno, si massacravano boliviani e paraguaiani, peruviani ed ecuadoriani, cileni e boliviani. In America Centrale sbarcavano i marines nordamericani e questi non discriminavano. Sparavano allo stesso modo contro i messicani e contro i nicaraguensi, ammazzavano i colombiani o cubani senza nessun entusiasmo, ma con una certa efficacia.
Nel frattempo, l'immenso continente, America, cresceva esternamente ed internamente. Imparammo a conoscere quello che avevamo e quello che non avevamo.
Quello che potevamo dare agli altri e quello che ci mancava. Quello che ci eccedeva era molto. Avevamo petrolio, nitrato, grano, argento, lana da dare al mondo. Quello che necessitavamo lo continuiamo a necessitare angosciosamente. Avevamo bisogno di vestiti, case, letti, alfabeto, medicine, cultura, macchinario, industrie, porti, aeroporti, strade, camion.
Il mio compatriota, il signor Hernán Santa Cruz, dirigente dell'agricoltura ed alimentazione nell'ONU, ha dichiarato pochi giorni fa che in America Latina di 192 milioni di abitanti, 80 milioni sono analfabeti, 14 milioni di bambini in età scolare non vanno alla scuola per mancanza di locali e maestri, 100 milioni soffrono di inattività. Nel frattempo i monopoli nordamericani ottennero dal 1956 fino al 1961 il guadagno di 3.479 milioni di dollari.
Questi dati ufficiali sono spiacevoli e difficili da inghiottire. Hanno odore di sudore e gusto di sangue. Ma, come metterli in un cassetto e dimenticarli? Sono tanto terribili che farebbero scoppiare il cassetto. È meglio contemplarli faccia a faccia. I nostri libri appaiono come aspri ed amari. È che vengono di là sotto, della verità terribile.
Uscirono al mondo i nostri prodotti. Ma ascoltarono già quello che guadagniamo noi e gli altri. E nel frattempo, sapete voi che cosa riceviamo? Invece di quello che necessitiamo, riceviamo vecchie navi da guerra, aeroplani affinché i nostri paesi potessero bombardarsi tra loro, carri armati di terza classe, di decorativo stile sinistro, e mitragliatrici che furono usate frequentemente nell'antica guerra dai brutti governi contro i buoni paesi.

DANNI E DETRIMENTO

Un'altra gran guerra cominciò in Europa ed i nostri governanti trovarono un'altra volta che non potevano pavimentarsi le strade piene di fango dei piccoli paesi del continente americano perché un'altra volta il sangue ed il fuoco coprivano le strade dell'Europa.
Questa vita dell'uomo tra le guerre ha fatto una profonda tacca nella cultura di questo tempo. La guerra fredda ha diviso ingiustamente la popolazione umana. Le opere artistiche hanno sofferto considerabili mutazioni. Da un lato l'umanesimo forse non raggiunse la sua precedente espansione. Molte delle nostre opere fermamente identificate con la nostra epoca furono, tuttavia, parziali, strette ed irritate. Esageriamo la bontà dei nostri amici o la malvagità dei nostri nemici. Abbracciamo anche falsi amici o inventiamo inesistenti nemici. Nell'altro settore l'ermetismo, l'astrazione o la perversità furono anche esagerati con l'affanno di non aderire a nessun principio ed allontanarsi dall'ossessione politica. Questa situazione ha lacerato gravemente la creazione del nostro tempo e molto pochi possono dichiararsi indenni da danni e detrimento.
Anche in America Latina questa ferita si ripetè. Ma lì le grandi masse si allontanarono sempre di più dalle creazioni della cultura, dato che i creatori della cultura non ebbero molte volte mezzi per arrivare alle masse. L'enorme numero di analfabeti, la crudeltà di alcune tirannie, la mancanza di libri e case editrici, l'assenza di scuole e maestri, tutto questo contribuì ad aumentare la distanza tra i paesi ed i protagonisti della cultura. Questa situazione produsse generazioni nuove che, nate nel pessimismo, vogliono strappare rapidamente alla vita i suoi frutti più violenti. Veda in controluce questa parte della società umana sembra darsi ad una frenetica danza rituale che si sviluppa in nero e rosso contro lo splendore dall'agonia atomica.

VOLA LA COLOMBA DI PICASSO

Una pace ferma o una tregua responsabile curerà immediatamente molti di questi stigmate nei nostri giovani paesi che lottano oscuramente per la loro esistenza e per la loro indipendenza. Questa pace significherà nuova energia e fecondità per essi. Un disarmo mondiale toglierà dagli occhi le armi che si ammucchiano ed ossidano nei porti dell'America del Sud, o che si preparano per la lotta tra i fratelli. Eas prospettive della cultura saranno tanto estese come il territorio del nostro continente gigantesco.
I veri problemi, i vecchi ed i nuovi problemi, conflitti e soluzioni si interrogeranno nelle tribune e nei libri. Gli alimenti ed i libri arriveranno in tutti gli angoli dall'America analfabeta ed affamata. Riapparirà allora l'ampio umanesimo che non può vivere eternamente affrontando le urgenti necessità, la vita stretta ed oscura ed il terrore cosmico di una possibile guerra totale.
Penso che in questo nostro tempo comuni idee di pace sono riuscite a farsi presenti alla maggioranza dell'umanità. Quando alcuni anni fa aprì le sue ali per volta prima la colomba di Picasso, non pensammo che qualche volta il suo volo arriverebbe all'Africa remota ed agli ardenti Caraibi. Oggi tutta l'umanità la conosce e ci riuniamo affinché il suo volo musicale non si interrompa. L'uomo esplora il cosmo ed in questa esplorazione lo accompagnano i più vecchi sogni dell'uomo e le tremende energie delle nuove forze scoperte e sviluppate. Siamo al punto, mi sembra, di far arrivare fino ai più induriti i concetti della guerra impossibile e della pace ragionata. È un altro vecchio sogno dell'umanità, a cui uomini di coscienza e grandi paesi rappresentati in questa riunione, lavorano senza riposo. Rappresentiamo un nuovo continente, il vero continente della speranza umana che invita tutti gli uomini a lavorare in pace.

Testo letto durante il Congresso Mondiale per il
Disarmo Generale e per la Pace, Mosca, 9-14
Luglio 1962, ed edito in
Principios, num. 91,
Santiago, settembre-ottobre 1962.


Coi cattolici verso la pace

Visitai molti paesi in questo viaggio e comprendo che il mio dovere è raccontare tutti ed in ogni parte quanto ho visto da tutte le parti, quanto ho sentito. Cominciamo subito, ed a vanvera di quello che venga e di quello che mi suoni nel ricordo. Ai politici impazienti prometto di parlare dei vescovi e delle loro manifestazioni politiche alla fine di questa conversazione.
Ma, prima che entriamo al massimo nel mio tema, voglio vagare con voi in largo per il mondo, per la terra e per gli spazi che appena sta scoprendo l'uomo, e facendogli strade. Non mi condannino immediatamente per parlare del più moralista, delle parole settarie, di quello che non avrà più rimedio che parlare, delle aggressioni alla coscienza, alla libertà ed al futuro dell'uomo. Lasciamo per alcuni minuti la Guerra Fredda ed il suo veleno congelato. Dedichiamoci, compagni, agli uccelli.
In realtà, il mestiere del poeta è, in gran parte, parlare di uccelli. E lo dico senza nessun pudore, dunque, precisamente, per le coste del mare Nero e tra le montagnose gole del Caucaso sovietico, mi venne la tentazione irresistibile da scrivere un libro sugli uccelli del Cile.
I medici mi avevano mandato ad uno di quelli grandiosi sanatori che, come sentinelle bianche, alzano per centinaia di chilometri le loro imponenti architetture lungo la costa per ricevere milioni di lavoratori stanchi, a poca distanza della frontiera turca dove la NATO accumula armamenti ed esplosivi per scatenare la guerra.

CONTENEMMO LA RESPIRAZIONE

Il vostro poeta, poeta di Temuco e del territorio nazionale, stava, dunque, coscientemente affezionato a parlare di uccelli, scrivendo, naturalmente, sugli uccelli della sua terra tanto lontana, sopra
chincol e chercan, tinche e diuca, condor e queltehue, quando, uno dopo un altro, due uccelli umani, due cosmonauti sovietici si sostennero nel cielo, si capirono nello spazio e sbalordirono di ammirazione il mondo intero che stette in silenzio mentre circolavano attorno alla terra, non solo mezzo giro o sei giri, bensì giorni e notti intere.
I miei uccellini si trattennero nella carta di fronte alla prodezza, e tutti contenemmo la respirazione, c'estasiamo sentendo sulle nostre teste e guardando coi nostri occhi il doppio volo cosmico.
Perché, mentre volavano, potemmo contemplarli nella televisione. Potemmo vedere come si alimentavano, come lasciavano liberi oggetti che rimanevano nell'aria, e come comunicavano tra loro i due astronauti, parlandosi come se fossero per una strada tra Rancagua e San Fernando.
Da tutte le parti si è commentata la portata dell'impresa, ma la cosa emozionante era saperlo e contemplarlo nella stessa terra socialista che aveva dato loro le ali, la forza ed il valore per volare.
Quando si parli di questi due nuovi cosmonauti in volo, che girano per lo spazio che non è stato mai misurato che non può essere misurato, pensiamo: Che cosa si può dire? Gli aggettivi hanno dichiarato bancarotta. Non servono i "meravigliosi" ed i "fantastici." Queste parole sono ben piccole come cucchiai piccoli che tirano fuori acqua dal mare: dal mare e dallo spazio. Dallo spazio in cui volarono, navigarono, corsero i nostri due cosmonauti. Dico nostri perché essi non appartengono solo all'Unione Sovietica, che la rappresentano tra i pianeti, ma appartengono al mondo intero, a tutta la scienza, al progresso umano e naturalmente alla poesia. La poesia deve cercare nuove parole per parlare di queste cose, per parlare di questi avvenimenti che si realizzano.
Quando queste novità della vita nuova, specialmente del mondo socialista, erano solo profezie, si predissero con un ricco vocabolario. Lo stesso Jules Verne, gran profeta romantico, inventò affascinanti anticipazioni, parlò in maniera appropriata popolando di miti sotterranei e celesti quello che accadeva allora e quello che andava ad accadere dopo.
Poco tempo fa a Mosca vidi per la prima volta un dizionario di termini fisiconucleari. Mi meravigliai perché, tranne la parola
atomo-reattore, e poche altre, non conoscevo nessuna delle molte che riempiono come colonne chiuse questo libro singolare. Quelle che lessi e che non compresi mi sembrarono parole chiaramente poetiche, assolutamente necessarie alle nuove odi, ai futuri canti, alla poesia che porrà in relazione in modo più stretto l'uomo di oggi con lo spazio sconosciuto e con l'uomo futuro mi resi conto che la poesia è rimasta indietro. Possibilmente i romanzi di fantascienza che ancora non conosco contengono alcuni dagli elementi imponderabili dell'atmosfera misteriosa e del magico vocabolario dell'anticipazione. Ma rimarrà sempre molto fare. Questi due cosmonauti che comunicano tra loro che sono esaminati e diretti dal nostro pianeta lontano, che dormono e mangiano nel cosmo sconosciuto sono i poeti scopritori del mondo. Ed in questo nuovo Parnaso, Gagarin, Titov, hanno anche il loro diadema, ma manca che i poeti incorporino, prima e dopo avere volato con gli astronauti, la sensazione nuova che significa la dominazione dell'universo infinito.
Ascendendo tanto in alto sono arrivati ad essere anche i più universali della nostra epoca. Hanno visto la Terra nella sua vera dimensione e questa dimensione, che non potevamo sentire prima, ora si è vista come si vede una mela su un tavolo. A questo dobbiamo aggiungere che sono i principali fondatori di un nuovo patriottismo, del patriottismo planetario. Gli uomini della mia età e molti altri prima, fummo orgogliosi del nostro villaggio, della nostra patria, della geografia del nostro continente, delle nostre piccole o grandi rivoluzioni. È l'epoca in cui gli esseri sono orgogliosi del loro pianeta. Arriveremo a raffrontare coi lunari le bellezze della luna, coi venusiani le montagne diamantine di Venere, coi saturniani il prodigioso anello che circonda il loro pianeta. Discuteremo con loro, esagerando le nostre cordigliere, i nostri laghi e le nostre opere umane. Saremo allora davvero uniti da un orgoglio terrestre. Le nostre guerre fredde e calde saranno finite. Ameremo di più e difenderemo il nostro pianeta.
Onore alla nuova scienza spaziale. Vivano gli astronauti sovietici. Evviva la Terra.
Diamo la parola a un commentatore scientifico:

Il Vostok IV era appena entrato nella sua orbita quando il Vostok III, che completava il suo sedicesimo giro, entrò nel campo visuale del comandante Popóvich. La riunione dei due veicoli rimaneva assicurata da quel momento.
Immaginino un'automobile in un'autostrada. Marcia a 140 chilometri per ora. In una strada adiacente, un automobilista deve raggiungere il primo. Sta a dieci chilometri dell'autostrada e sa solo che all'ora "H" la prima automobile si troverà giustamente nella biforcazione.
I due veicoli girano di notte. È impossibile vedersi e, pertanto, orientarsi con la vista. Solo una fortuna prodigiosa o un gran prodigio tecnico faranno che le due automobili si riuniscano soavemente e riescano a girare dopo uno vicino all'altro.
Bene, moltiplicate per diecimila le difficoltà di questo appuntamento in strada e vi farete un'idea di quello che suppone l'appuntamento cosmico che si portò a termine sul Pacifico.
Il viaggio dei due Vostok è, indubbiamente, l'impresa più audace e significativa di tutte le audacie dell'astronautica, di tutti i fuochi d'artificio dello spazio.

Cari amici: Questo paragrafo che ho appena letto, firmato dal signor Lucien Barnier, dell'agenzia France Presse, si pubblicò il giorno 30 di settembre, solo alcuni giorni fa, dove?, indovinate. So già che direte, in
El Siglo. No, signori, no. Si pubblicò su un altro quotidiano bolscevico che si chiama El Mercurio. Si pubblicò, forse, per distrazione, tra tanti articoli di piombo che ci provano fino alla sazietà che l'Unione Sovietica non fa niente di buono che tutta le cose buone lo fa nostro zio del Nord. È chiaro che nello stesso numero usciva un altro parere, secondo il quale questi astronauti sovietici erano sicuramente ipnotizzati, o dopati, come volgari calciatori. La verità è che tutto il mondo sa che gli unici ipnotizzati sono i redattori di El Mercurio. Ma, non abbiate paura: El Mercurio non imparerà mai a volare.

VENIVANO DAL POPOLO STESSO

Questo mondo nuovo degli astronauti mi preoccupò. Che cosa fanno nella vita giornaliera, nella terra di tutti i giorni? I poeti di un altro tempo si davano molta importanza. Pensavano che non potevano vivere come tutto il mondo, dopo aver camminato tra le nuvole e le nebulose dell'ispirazione. La vita ci provò da Víctor Hugo, da Parigi, fino a Pezoa Véliz, da Valparaíso, che noi poeti siamo gente come tutti gli altri che vive, soffre, gode e lotta come tutto il mondo. Ma questi astronauti, pensavo io, saranno come tutto il mondo? Essi navigarono tanto alto, tanto solitari lassù, essi, essi, forse gli unici esseri che poterono mangiare e dormire e cantare tra le stelle.
Ci troviamo coi due nuovi cosmonauti: i comandanti del III ed IV Vostok, Popóvich e Nicoláiev. Li vedemmo arrivare alla Piazza Rossa dove, supremo onore, li ricevè il camerata Kruschov a nome della nazione sovietica. Poi li vedemmo nella sala di San Jorge, nel Cremlino. Questo salone costruito per gli zar, immenso, bianco e dorato, è per me la stanza più bella del mondo. Fu concepita per insignire gli antichi guerrieri della Russia feudale. Ora insigniva questi due russi che ritornavano dal cielo. Ma, vicino ad essi, completamente terrestri, i loro parenti mi mostravano da dove venivano, dal popolo stesso. I vecchi portavano, lui, immensi baffi contadini, lei, copriva i suoi capelli bianchi con lo scialle degli innumerabili villaggi e campagne. Mi resi conto che erano come noi, compari del campo, del villaggio, delle fabbriche, degli uffici, gente comune, elevata dalle viscere del popolo per una commozione più grande che nessuna, la parola di Lenin, la Rivoluzione di Ottobre.
Un'altra volta mi trovai con Germán Titov, l'astronauta numero 2. Un ragazzo simpatico, dai occhi grandi e luminosi, un po' timido. Gli domandai all’improvviso: "Mi dica, comandante, quando navigava per il cosmo e guardava ed esaminava il nostro pianeta, si scorgeva il Cile?."
Era come dirgli "Lei comprende che la cosa importante del suo viaggio era vedere in piccolo Cile da sopra ".
Molto riflessivo di temperamento, non sorrise come mi aspettavo, pensò alcuni istanti e dopo mi disse: "Ricordo alcune cordigliere gialle. Si notava che erano molto alte. Forse era il Cile."

GAGARIN DORMIVA

Questo carattere meditativo dell'astronauta e la sua aria normale di giovane in buona salute, mi fece pensare a quello che mi avevano raccontato i miei amici nell'URSS. Sono queste cose che non appaiono nei giornali. A quanto pare i cosmonauti sono preparati in squadra, tre o quattro o cinque contemporaneamente. Fino all'ultimo giorno tutti ricevono la stessa preparazione, nessuno sa chi correrà la gran avventura. Questa avventura era la più grande, perché si trattava del primo viaggio. Era l'ultima notte, Titov, Gagarin e gli altri, erano riuniti. Nella mattina andava a realizzarsi il volo. Gli scienziati li comandarono a dormire. Tutto era preparato, ma non si designava ancora il primo eroe dei viaggi celesti. Chi sarebbe stato? Uno di essi sarebbe partito per il cosmo.
Tardi, nella notte, gli scienziati guardarono la camera da letto. Vari dei possibili cosmonauti si rigiravano inquieti nei loro letti davanti all'imminenza dell'avventura spaziale. Uno di essi dormiva solo come un ghiro. Era Gagarin. Pertanto, egli volò alla mattina seguente.
A proposito di Gagarin, saprete già la conversazione che ebbe con una signora cilena. Benché la sappiate, ve la racconto. Questa cilena andò a chiedergli un autografo, Gagarin gli domandò di che paese era. Ah!, gli rispose il nostro compatriota. Sono di un paese molto lontano e molto piccolino. Del Cile. Sì, replicò Gagarin firmandolo l'autografo, molto lontano e molto piccolino, ma ci misero 2 goal a Arica.

LA VEGETAZIONE DELL'ODIO

Ritornando in Cile trovai la vegetazione nuova per strade e nei parchi. Nei parchi di Santiago, negli alberi del nostra città meravigliosa primavera si era messa a dipingere di verde i fogliami forestali. Per la nostra vecchia capitale grigia, le foglie verdi sono necessarie come l’amore per il cuore umano. Respirai la freschezza di questa giovane primavera del 1962. Non so perché quando stiamo lontano dalla patria e l'andiamo ricordando sempre di più con nostalgia, mai la vediamo in inverno. A poco a poco la distanza ha continuato a cancellare il doloroso inverno, le popolazioni abbandonate, i bambini scalzi nel freddo. Per arte del ricordo, vediamo solo campagne coltivate verdi, fiori gialli e rossi, ed il cielo azzurrato dell'inno nazionale. Questa volta la visione della lontananza era il vero ritratto della bella stazione.
Ma trovai un'altra vegetazione sui muri della città. Stava tutta tappezzata dalla vegetazione dell'odio. Cartelli anticomunisti, che colavano scortesia e bugie, cartelli contro Cuba, cartelli antisovietici, cartelli contro la pace e l'umanità: Questa era la nuova vegetazione che trovai che sviliva i muri della città.
Io conoscevo già il tono di questa propaganda. Mi toccò vivere nell'Europa prima di Hitler e del fascismo, e questo era lo spirito della propaganda hitleriana. Lo spirito della bugia a tutta birra, la propaganda della paura, lo spiegamento di tutte le armi dell'odio contro il futuro.
Sentii la sensazione penosa che da fuori avevano sporcato la città. Sentii che volevano cambiare lo spirito il nostro paese e della nostra vita. Ed in realtà non trovai chi, di tra noi, i cileni, potesse offendere in questa maniera il nostro spirito nazionale.
Ma tutto già si sa. Milioni di questi cartelli sono stati stampati nelle presse de
El Mercurio, ordinati e pagati dall'ambasciata degli Stati Uniti della Nordamerica.
I circoli dirigenti della politica nordamericana, influenzati in forma totale dal Pentagono, passano per un'epoca critica di acuto militarismo e di violento fascistizzazione. Convinti del loroo potere, credono che possano e devono opporsisi al crescente prestigio del socialismo. Gli abbaglianti progressi scientifici dell'URSS gli tolgono il sonno. I cambiamenti politici nell'Asia e nell'Africa li scoprono. Cuba che entra nel suo quarto anno di trasformazione sociale, li tiene perplessi.
Ed ora, il Cile...
Quattro o cinque mesi fa il senatore nordamericano Fulbright, capo delle Relazioni Esterne della Casa Bianca, diede una conferenza stampa a Washington. "In Cile non ci vogliono" disse in tono piagnucoloso. "Nell'anno 64 c’è un gran cambiamento in Cile. Tutto indica che guadagneranno le sinistre. Non ci saranno lì tiri. Non sarà il caso di Cuba. Tutto accadrà legalmente, ma, per noi, è la stessa cosa. Che cosa faremo?"
Quello che fanno lo stiamo vedendo. Impegnarsi a distorcere la storia, la nostra storia. Primo con questa propaganda maligna, a base del grossolano tonnellaggio della carta stampata, con la ripetizione, a nome della democrazia, dell'ideologia fascista. Dopo, favorendo la disunione dell'opposizione, fomentando la divisione tra i cileni. E tutto questo portando nella manica nordamericana l'ultima carta: il colpo militare eseguito in nome della democrazia. Questo significa che gli imperialisti che vivono facendosi gargarismi della parola
democrazia, propiziano per il Cile lo stesso destino di confusione, di caos e di stupidità che hanno impiantato in Argentina, in Perù, in Ecuador.
Si sono affrettati a riconoscere questi governi che annullarono le elezioni popolari, perché queste non convenivano loro. Quando i voti non favoriscono i commercianti monopolisti nordamericani, i padroni del rame e del petrolio, il democratico signore Kennedy dopo alcuni pruriti di formula, si abbraccia col primo piccolo colonnello che dà un calcio alla costituzione e la democrazia rappresentativa, come chiamano pittorescamente certi radicali cileni la vacca che mungono.

GIÀ LO FECERO A VOI

Comunque, occorre domandare: Chi protegge questa propaganda? Sta nelle regole del diritto internazionale che le ambasciate straniere abbiano via libera per propagare le loro belligeranze? E come i poteri pubblici tollerano simile intervento nella vita politica dei cileni? Sentiamo parlare molto dal governo della sovranità nazionale riferendosi alle acque del Lauca o ai pinguini dell'Antartide, e perché non esercitare anche questa sovranità nella capitale della Repubblica del Cile?
Da parte mia, ed a nome dei comunisti, devo dire ai promotori di questa rozza campagna che i comunisti non sentono paura. Sappiamo di che cosa si tratta. Si tenta di allarmare il tranquillo cittadino e l'ombra di quell'allarme si impadronisce di quello che ancora ci rimane di indipendenza e di materie prime.
Già lo fecero a voi, signori imperialisti, della Cina e dell'Indonesia. Difficilmente potete continuare a succhiare il sangue dei paesi dell'Africa. Più difficile sarà che arrivino a colonizzare la Luna. Allora, pensate che l'America Latina appartiene a loro che i nostri paesi non possono disputarsela che non possiamo cambiare regime politico in questi paesi, secondo le nostre condizioni e le nostre decisioni. Considerate, signori imperialista, che il dollaro ed il bastone devono dirigere i destini di più di 200 milioni di latinoamericani.
Questo concetto è un grossolano errore di calcolo politico e di conoscenza della storia umana.
Noi consideriamo che nessuno ha stabilito come dovere divino che i nostri paesi non possano cambiare, né possano cercare la strada che credano giusto per il loro sviluppo. E dovete sapere, una volta per tutte, perché a qualcosa deve servire la lezione da Cuba che, quando arriverà l'ora, difenderemo le nostre culture, la nostra indipendenza, le nostre bandiere e la nostra sovranità con la nostra parola, con la nostra azione, col nostro lavoro e col nostro sangue. I cileni vogliamo continuare ad essere cileni. Sappiate una volta per tutte che non accetteremo di essere una colonia nordamericana.
Salutiamo Cuba. Ci sembrò sempre risplendente, magica, azzurra, dorata e nera, l'isola bella tra tutte le isole del pianeta. Ma, non pensiamo mai prima, forse per mancanza di immaginazione che tutto suo l'incantesimo di ritmi e palme dovremmo unirlo qualche volta alla dimensione suprema dell'eroismo. Non pensiamo mai che nostra piccola sorella, dissanguata dall'avidità straniera e dalle tirannie interne, andava a mostrare in tutta la grandezza del suo destino, difendendo contemporaneamente tutti i diritti presenti e futuri del nostro continente latinoamericano:

Ed a Cuba guardano i minatori australi,
i figli solitari della pampa,
i pastori del freddo in Patagonia,
i genitori dello stagno e dell'argento,
quelli che sposandosi con la cordigliera
tirano fuori il rame da Chuquicamata,
gli uomini di autobus nascosti
in popolazioni pure di nostalgia,
le donne dei campi ed officine,
i bambini che piansero le loro infanzie:
questo è il bicchiere, prendilo, Fidel.
È pieno di tante speranze
che a berlo saprai che la tua vittoria
è come il vecchio vino dalla mia patria:
non lo fa un uomo bensì molti uomini
e non una sola uva bensì molte piante:
non è una goccia bensì molti fiumi:
non un capitano bensì molte battaglie.
E stanno con te perché rappresenti
tutto l'onore della nostra lotta lunga
e se cadesse Cuba cadremmo,
e verreremmo per rialzarla,
e se fiorisce con tutti i suoi fiori
fiorirà con la nostra propria linfa.
E se osano toccare la fronte
di Cuba dalle tue mani liberata
troveranno i pugni dei popoli,
tireremo fuori le armi sepolte:
il sangue e l'orgoglio accorreranno
a difendere Cuba benamata.

TUTTE LE ARMI

Sì, la difenderemo. Ma, tutte le armi sono necessarie in questa difesa. E tra noi le migliori armi dello spirito. Perché la propaganda reazionaria persegue di terrorizzare, nascondere il nome glorioso di Cuba, le sue gesta. Si tenta di invalidare questa conquista dentro le anime semplici. Si tenta di insistere nella muraglia, di presentare la giustizia rivoluzionaria con colori sinistri. Questo ha due obiettivi. Il primo è salvare, se possono, i criminali che dentro Cuba sono ancora giudicati colpevoli di perverse azioni. Si giudicò una combriccola che assassinò, crocifiggendolo, un adolescente, volontario di una brigata di alfabetizzatori, che insegnava a leggere ai contadini. La cosa curiosa è che alcuni "cristiani" compatiscono non il martire crocifisso, bensì i sadici assassini. La seconda parte di questa campagna è oscurare l'immenso lavoro di rigenerazione morale, economica, sociale, della gran Rivoluzione cubana. Ci non fu mai meno violenza in una rivoluzione e non si fecero mai tante cose e tanto importanti nella nostra America.
Mai un cambiamento di struttura in un paese della nostra America partì fino alle radici dalla corruzione, del ritardo e dello sfruttamento. E mai, neanche, si videro forze tanto immense, forze straniere, disposte a schiacciare colla forza o colla menzogna quanto di nobile e di fecondo si sta costruendo in Cuba.
Ora il Dipartimento di Stato ha appena riunito i ministri delle Relazioni latinoamericani in un nuovo sforzo per bloccare Cuba. Si tenta di ostacolare il paese cubano per ricevere alimenti, per ricevere petrolio affinché camminino le sue industrie, per ricevere carta e libri, per ricevere medicine per i suoi ospedali, e perfino si propone di terminare con la modesta vendita di agli e cipolle che è la cosa unica che arriva loro del Cile.
In questo diabolico piano che si pretende portare a termine a nome della diplomazia, la voce cantante è stata portata dal cancelliere del Perù. Questo è stato il migliore alleato dei nordamericani. Come detiene il suo titolo, dato che con le sue proprie mani e quelle dei militari peruviani ha strangolato la democrazia nel Perù, rifiutandosi di rispettare i voti degli elettori peruviani. Così succede sempre. Il gran campione della democrazia imperialista ha bisogno di prove palpabili che i suoi alleati condividono la sua ideologia. Non c'è dubbio che i guerrieri peruviani che sembrano tanto ansiosi di versare sangue cubano, saranno favoriti ed insigniti come Franco, Salazar, ed altri boia che sarebbe lungo enumerare.
La propaganda si rovescia sulle armi di cui dispongono i cubani e che causano molta irritazione a Washington. Disturba alla Casa Bianca anche che ricevano alimenti. E con quello abbiamo uno strano panorama: questi "cristiani" spiano con piacere, aspettano con preghiere i minimi sintomi della fame a Cuba. Questi sostenitori della giustizia e del diritto preparano invasioni, le confessano, falliscono in esse, continuano le loro minacce armate, ed in nome del diritto vogliono ostacolare che un paese indipendente ottenga armi con cui possa difendere la sua esistenza.
Tutti i giorni leggiamo i titoli destinati all'inganno collettivo per farci credere che le armi di Cuba sono destinate ad invadere le repubbliche sorelle, Messico o Colombia, Cile o Uruguay. Francamente, se questo non fosse il colmo del cinismo e se non desse luogo a queste caricaturali riunioni di cancellieri, sarebbe per morire della risate.

IL PORTO DEI PESCHERECCI

Si fa anche molto chiasso per un grande porto peschereccio che costruiranno gli ingegneri sovietici nel litorale di Cuba. Vi spiego il motivo di questo chiasso.
L'Unione Sovietica colla sua inesauribile generosità umanista ed il suo inflessibile senso di internazionalismo, non ha lasciato che strangolino Cuba che la uccidano per fame. E per aumentare le riserve alimentari dell'isola ha inviato il suo flotta di pescherecci ed i suoi pescatori dalla moderna tecnica. Con questo si è aumentata la produzione e la raccolta di pesci, già maggiorata, si raddoppierà nel prossimo anno 1963. Ciò nonostante, e per elevare ancora più questa difesa fisiologica del paese cubano, si vuol costruire, per regalarlo a Cuba, un porto moderno per le sue imbarcazioni da pesca e per le derivazioni dell'industria del pesce. Col fine di continuare la sua politica di blocco criminale, le agenzie di stampa nordamericane hanno diffuso la notizia che non si tratta di un porto di pescatori, bensì di una minaccia per il continente. Questo ha per oggetto di allarmare i governi, incitarli a rompere le loro relazioni con Cuba e, contemporaneamente, compiere il sinistro obiettivo che i cubani non abbiamo da mangiare.
Tutti sappiamo che riguardo all'aggressione fisica dell'esercito nordamericano a Cuba, l'Unione Sovietica ha lasciato bene in chiaro le cose. Gli aggressori saranno puniti e sterminati. Sarebbe il principio della guerra mondiale. Allora, il piano imperialista consiste nel pressare i paesi che come Cile, Messico, Brasile, Uruguay e Bolivia, non hanno accettato l'indegnità di rompere le relazioni con nostra sorella rivoluzionaria. Vogliono portare a questi governi al parossismo e alla rottura. Allora dichiareranno che è stato aggredito uno dei suoi satelliti, come Nicaragua, Guatemala, Panama o Santo Domingo, e tenteranno allora di formare un falso esercito panamericano che diretto nominalmente da un traditore, tipo Moscoso, conti su due o tre file di guatemaltechi o nicaraguensi e signorini cubani di Miami che serviranno da schermo alle divisioni nordamericane dell'invasione in massa. Tutto questo sotto il padiglione dell'OEA. È un gioco che consiste nel tirare fuori le prime castagne dal fuoco, con la mano del gatto. Ma che può finire in catastrofe.

NON È DI FIDEL

Io voglio leggervi alcuni estratti di un testo altamente etico e politico che sembra diretto da Fidel Castro, a nome del popolo cubano, al signor Kennedy, aggressore per confessione propria della nazione cubana:

[...] è una storia di insulti ripetuti ed usurpazioni che hanno tutte come diretto obiettivo stabilire una tirannia assoluta su questi Stati. Per provare questo facciamo che i FATTI siano conosciuti per un mondo senza pregiudizi: Ha saccheggiato i nostri mari, ha assaltato le nostre coste, ha bruciato le nostre città e distrutto le vite del nostro popolo. In questo momento sta trasportando grandi eserciti di mercenari affinché completino il lavoro di morte, desolazione e tirannia che cominciarono già con aggravante di crudeltà e perfidia che raramente trovano parallelo nelle età più barbare e che sono completamente indegne del capo di una nazione civilizzata. Ha obbligato i nostri compatrioti... a sollevarsi in armi contro la loro patria, affinché siano i boia dei suoi amici e fratelli. Ha provocato insurrezioni domestiche tra di noi. Alle nostre petizioni ripetute è stato solo risposto con ripetuti insulti.

Devo disingannarli. Non è Fidel Castro che accusa Kennedy con queste tremende parole: ho letto loro la propria Dichiarazione dell'Indipendenza degli Stati Uniti dell'America, e è Tomas Jefferson che, il 4 Luglio del 1776, lasciò scritte queste frasi incandescenti condannando la politica imperialista dell'Inghilterra. Ora, che la rileggano i governanti nordamericani perché si applicano in forma profetica all'attuale politica di coercizione e pirateria che pratica il governo degli Stati Uniti contro la Repubblica di Cuba.

CHE IL DESTINO DI CUBA RISPLENDA

Ma non ci scoraggiamo. Il mondo non è lo stesso di alcuni anni fa quando con tattiche simili il governo nordamericano schiacciò la democrazia e la dignità del Guatemala. Non sono passato molti anni, ma è passata molta acqua sotto i ponti, e non possiamo considerare oramai i governanti degli Stati Uniti come prepotenti del mondo, arbitri di vita o morte nello sviluppo dei popoli. Ora intervengono altri fattori. Naturalmente, la maggiore coscienza dei nostri popoli e le tremende forze di pace del mondo socialista. Con queste grandi energie umane, coi cubani uniti attorno a Fidel speriamo che il destino di Cuba risplenda. Per il resto, Cuba lo dice: "Patria o morte. Vinceremo".

[...]
ora arrivò l'ora delle ore:
l'ora dell'aurora aperta
e quello che pretenda di annichilire la luce
cadrà con la vita mozzata:
e quando dico che arrivò l'ora
penso alla libertà riconquistata:
penso che in Cuba cresce un seme
milioni di volte amato ed atteso:
il seme della nostra dignità,
pertanto tempo ferita e calpestata,
cade nel solco, e salgono le bandiere
della rivoluzione americana.
[...]


LA PASTORALE: UN DETTO ED UN FATTO

Ed ora entriamo nella pastorale dei vescovi. Io già passai l'epoca della gioventù iconoclasta, tra le altre cose perché il mio partito mi insegnò a valutare, rispettare in quello che si meritano ed esaminare tutte le idee. Ma, anche, il mio partito mi insegnò a valutare i fatti, i "testardi fatti."
Questa pastorale dei vescovi cileni è un detto ed un fatto e dobbiamo pensare, per esaminarla, che vuole imprimere rotte, promuovere situazioni, raggiungere obiettivi determinati. Cioè che vuole accostare dei detti ai fatti.
Pertanto, come con qualunque altra manifestazione o azione della nostra vita nazionale, noi i comunisti abbiamo il dovere di chiarire fino a che punto siamo di accordo e fino a che punto siamo in disaccordo.
Noi, i comunisti, non mettiamo da parte nessuno, non presumiamo che nessuno sia fuori della convivenza e della discussione dei problemi della patria. In questo concetto, o concezione dialettica, non discriminiamo. Discriminiamo severamente non appena ci si riferisce alla composizione degli elementi sociali, delle classi che compongono la nostra nazione e le altre. In questo siamo chiari, fino all'insistenza: la società in tutti i paesi si comporsi non di cattolica e di atei, bensì di sfruttatori e sfruttati.
È commovente che la pastorale cominci con una denuncia vigorosa dello stato di miseria economica e fisiologica in cui sopravvive il nostro nobile paese. In questo la pastorale della Chiesa cattolica del Cile non fa più che appoggiare, col suo proprio stile e rispettabili argomenti, quello che il Partito Comunista del Cile, da Luis Emilio Recabarren fino ai nostri giorni, ha rivelato e combattuto, lasciando durante il cammino, in prigioni, esili e martirii, innumerabili martiri del paese cileno.

Celebriamo, dunque, che la pastorale attacchi l'egoismo, l'ingiustizia e la crudeltà del nostro stato sociale. Ma, segnalo con la più alta considerazione, che questa parte della esposizione ecclesiastica si sarebbe arricchita nominando i colpevoli di questo ritardo secolare, dell'indegnità e della miseria, dello sfruttamento e dell'ingiustizia. Deplorevolmente, non lo dicono i vescovi.

Io si lo dico. I colpevoli di quanto ci succede sono gli stessi che da tutte le parti: una classe rapace di latifondisti, capitalisti, banchieri, monopolisti ed imperialisti il cui concetto della società umana ha la stessa ferocia che la legge della giungla in cui il più forte inghiotte il più debole ed indifeso.
Neanche segnala il documento della Chiesa gli uomini od organizzazioni che lottarono contro questo stato di cose, e che lottarono, quando non era ancora tanto grave né disperato. Se la pastorale proclama la sua identificazione con la dottrina cristiana, ci sembra che sarebbe stato dentro il suo spirito quello che avrebbe preso in considerazione, con generosità coloro che diedero la vita in questa lotta. Se non si faccia questo riconoscimento sembrerebbe essere un'omissione ingiusta. La lotta per la giustizia e per la dignità del nostro popolo nacque molto tempo fa e nacque dentro la classe operaia. Sarà dentro questa classe che si continuerà. La classe operaa, alleata fermamente coi contadini, suoi compagni di lotta, formano la classe avanzata e rivoluzianaria del nostro tempo. Così, dunque, i cambiamenti si produrranno, non per la carità, né per la generosità delle classi sfruttatrici, bensì per la lotta conseguente e vittoriosa del popolo organizzato.
Perciò, dentro una concezione pratica, utilitaria, del progresso sociale, delle possibilità piene della nostra patria, dobbiamo riconoscere che fondamentalmente è la lotta di classe quella che promuove i cambiamenti sociali che avverranno. Nella lotta di classe è ammirato il concorso che qualunque collettività o qualunque individualità apporti alla crisi del capitalismo.

LE SCOSSE DELLA SOCIETÀ

Non c'è dubbio che la Chiesa cattolica, nella sua esistenza millenaria, ha sentito e specchiato le scosse della società. Questo è, si è inclinata per una o un'altra forza nel combattimento umano, ha perso o ha guadagnato nel decorso della storia. In un viavai di lunga durata si è allontanata o si è avvicinata alle primitive fonti della sua origine. L'origine del cristianesimo fu una lotta di classi tra sfruttatori e sfruttati.
Cito alcune parole rivoluzionarie. Forse queste parole poterono essere messe alla testa della pastorale, sia per quello che dicono come per l'autorità santificata da dove
vengono. Ascoltate:

La proprietà privata provoca dissensi, insurrezioni, guerre, massacri, peccati gravi o veniali. Perciò, se non ci risulta possibile rinunciare alla proprietà in generale, rinunciamo per lo meno alla proprietà privata. Possediamo troppe cose superflue. Acontentiamoci di quello che Dio ci ha dato e prendiamo solo quello che ci necessita per vivere. Perché il necessario è opera di Dio, ed il superfluo opera dell'avidità umana. Il superfluo dei ricchi è la cosa necessaria dei poveri. Chi possiede un bene superfluo possiede un bene che non gli appartiene.

1.500 anni fa un padre della Chiesa, pensatore straordinario, Sant’Agostino, tracciò queste parole che avrebbero potuto significare la continuità di una dottrina. Ma, vediamo nella pastorale dei vescovi, come il viavai del tempo allontanò la Chiesa, in Cile, da questi puri concetti. Dice la pastorale citando un'enciclica del papa Pio XI:

Gli individui non hanno diritto alcuno di proprietà sui beni naturali né sui mezzi di produzione; ogni tipo di proprietà privata, secondo i comunisti, deve essere distrutta radicalmente, per considerarla come la fonte principale dello schiavitú economica.

ATTENZIONE CON LE ENCICLICHE

Non credo, o forse non so se è mancare di rispetto al cardinale dirgli che bisogna fare attenzione alle encicliche. Un'enciclica di un altro papa, Pio VII, esecrò e condannò la lotta dei patrioti nel 1810 per l'indipendenza nazionale. I vescovi Zorrilla, di Santiago, e Villodres, di Concepciòn, con quasi tutti i sacerdoti cileni, dichiararono che nostri eminenti erano eretici e li scomunicarono.
Signori vescovi, attenzione con le encicliche.
La pastorale continua questa pericolosa discriminazione tentando di separare i comunisti, separando un gruppo grande di esseri umani, per non dire di elettori, non del cielo, bensì della terra, questo è, condannandoci ad un ostracismo che i comunisti non possono, signori vescovi, accettare.
Suppongo che si sappia che nel mondo comunista vivono 60 milioni di cattolici. La Polonia, dei suoi 27 milioni, deve contare forse 26 milioni di cattolici. Il cardinale polacco e 14 dei suoi vescovi sono partiti dalla Polonia e deliberano in questo momento nel Concilio Ecumenico di Roma.
Noi comunisti non mettiamo nell'ostracismo questi vescovi, né questi milioni di cattolici. Molti milioni di essi hanno preso parte importante alle trasformazioni socialiste che ha imposto la storia del nostro tempo.
Adottando pienamente una posizione politica, con questa pastorale, la Chiesa ricade in posizioni che la legano alle cappe più reazionarie ed antiquate, come al senso violentemente anticomunista degli sfruttatori, colonialisti ed imperialisti. Contro questi non c'è una parola. I mali vengono dal popolo e del partito più combattivo della classe operaia. Contro questi bisogna combattere. Così combattè la Chiesa dentro la nostra America le correnti di idee che provocarono l'indipendenza dei nostri paesi latinoamericani.
Durante la Riconquista il papa Leone XII appoggiava le pretese di Fernando VII. I vescovi di quell'epoca neanche comprendevano la causa della nostra liberazione. Il vescovo frate Hipólito Sánchez Rangel, primo vescovo di Mainas, richiamava alla guerra sacra contro San Martin ed O'Higgins, padri di più di una patria. Ascoltiamo alcune delle sue frasi:

Uscite, figli, diceva loro, contro quei covoni di banditi e bricconi; presentate i vostri petti all'acciaio prima di accondiscendere ad un giuramento (quello dell'indipendenza) che vi fa spergiuri per Dio e traditori del vostro re, della vostra patria e della vostra nazione... vi vogliono obbligare ad offrire incenso a Baal, disprezzando al Dio di Israele. Ingrati! Inumani! Il nome solo di indipendenza è il nome più scandaloso. Fuggite da lui, figli, come dell'inferno... Per quello che ci compete, chiunque dei nostri sudditi che volontariamente giurasse la scandalosa indipendenza lo dichiariamo scomunicato esecrabile e comandiamo che sia messo in bacheche: se fosse ecclesiastico lo dichiariamo sospeso; e se lo facesse qualche città o paese della nostra diocesi, gli mettiamo proibizione locale e personale; e facciamo consumare le specie sacramentali e chiudere la chiesa fino a che ritratterà. Se alcuno dei nostri figli obbedisse ad un altro vescovo o vicario od udisse messa di sacerdote insorto o ricvesse di lui i sacramenti, lo dichiariamo anche scomunicato esecrabile per scismatico e cooperatore dello scisma politico e religioso, che è tutta l'opera degli insorti.

Così parlavano i prelati nel 1810 in tutta l'America. Mettevano sotto il padiglione celestiale il loro appoggio alla monarchia e, pertanto, al sistema di servi e commissionari imperante in quegli anni.
Per contraddire la causa popolare si dimenticano i termini e dolcezza cristiana, si ri corre alle parole violente.

DI NUOVO QUELLA FRASEOLOGIA

Sfortunatamente, dopo un secolo e mezzo troviamo che la pastorale del 1962, firmata dal cardinale Silva Henríquez, usa di nuovo la fraseologia virulenta del passato. Ah!, è che si tratta, anche ora, di una causa di liberazione incarnata principalmente dai comunisti. Si veda la differenzia dal linguaggio. Riferendosi ai capitalisti indica soavemente: "Che questo non faccia dimenticare, tuttavia ai cattolici che la Chiesa ha condannato gli abusi del liberalismo capitalista." Mentre quando si riferisce alle lotte emancipatrici dei comunisti è questa la maniera di parlare: "Non deve, dunque, causare stranezza che la Chiesa dichiari che coloro che tradiscono i sacri diritti di Dio, della patria e dell'uomo, collaborando in un'azione che va diretta direttamente contro questi grandi valori, fondamenti e base di tutta la civiltà cristiana, non stiano in comunione con Lei. Quelli che lo fanno, lo diciamo con dolore, sono figli che si sono allontanati dalla casa paterna."
Dovremmo sentirci onesti nell'essere trattati dalla Chiesa quasi negli stessi termini insoliti che si impiegarono in un'altra epoca contro i patrioti del 1810. Sentiamo la responsabilità e la continuità di tutte le cause di liberazione. Oggigiorno i popoli lottano per il socialismo attaccati da tutte le forze dell'oppressione e dello sfruttamento. Sì, ci sentiamo orgogliosi di sostenere, vicino ai popoli, una lotta senza quartiere il cui vittoria si vede sempre più prossima. Ma avremmo voluto che i prelati del Cile non chiamassero di nuovo alla guerra santa, non toccassero le campane se non per calmare le anime.
Questa campagna della Chiesa con questo pastorale che ci vuole gettare in una lotta inutile tra cattolici e non cattolici, può avere due origini. Uno è l'antico spirito di un Chiesa combattente, di tradizione rustica, di curati carlisti col catechismo in una mano ed il fudile nell'altra. Ricordiamo che l'arcivescovo Mariano Casanova, solo 60 anni fa, aveva la seguente concezione della vita sociale. Di lui sono queste parole:

La dottrina socialista è, dunque, asociale, perché tende a turbare le basi in cui Dio, autore della società, l'ha stabilita. E non sta in mani dell'uomo correggere quello che Dio ha fatto. Dio, come padrone sovrano di tutto quello che esiste, ha ripartito la fortuna secondo il suo beneplacito e proibisce di attentare contro essa nel settimo dei suoi comandamenti. Ma per questo ha lasciato senza compensazione il destino dei poveri. Se non ha dato loro beni di fortuna, ha dato loro i mezzi di acquisire la sussistenza con un lavoro che, se opprime il corpo, rallegra l'anima. Se i poveri hanno meno fortuna, in cambio hanno meno necessità: sono felici nella loro stessa povertà. Se i ricchi hanno maggiori beni, hanno in cambio più inquietudini nell'anima, più desideri nel cuore, più dispiaceri nella vita. I poveri vivono contenti con poco, i ricchi vivono scontenti con molto.

Fino a qui le parole del venerabile vescovo Mariano Casanova.
Ma ci assale un dubbio. A chi dobbiamo credere. A questo stimabile sacerdote o a chi firma la pastorale di ora?
Nell’uno e nell’altro caso essi credono sicuramente di interpretare la voce di Dio. Non ci saranno piccoli errori in queste interpretazioni? Non si ripeteranno questi errori? Non dovranno lamentarsi più tardi delle direttive di oggi?
Attenzione, signori vescovi, attenzione con la voce di Dio! Nel vostro pastorale si trovano per illuminare il popolo cileno, le seguenti parole di Pio XI. Chiedo attenzione per esse: mi creda che li citi con un dolore profondo. Sento il dispiacere che qualcuno abbia potuto scriverle, che qualcuno potesse credere in esse:

La famiglia, per il comunista, non ha ragione di essere: è una creazione borghese sulla quale si fonda la società attuale, che deve essere debilitata e distrutta. Il comunismo sopprime ogni vincolo che leghi la donna con la famiglia e con la sua casa; nega ai genitori il diritto all'educazione dei figli; e mette in mano della collettività l'attenzione della casa e della prole; la donna è lanciata nella vita pubblica e nel lavoro, per pesante che sia, la stessa cosa dell'uomo.

Ahi, signori cardinali! Ahi, signori vescovi! Non basta dire che questo deforma la verità che queste righe non contengono un atomo di verità né di bontà, non basta dire che non sono vere!
Sono esattamente il contrario della verità, sono parole irresponsabili e vuote. Forse non sono vuote, ma sono cariche di un mostruoso errore o di menzogna.
Non c'è comunità con tanto forte, profondo e morale senso della famiglia come la società comunista. Non c'è da nessuna parte, tra i paesi capitalisti, un'attenzione tanto estesa e tanto tenera per il nucleo familiare, per la madre e per il figlio. Mai, in nessun paese socialista, si tolsero i figli alle madri. Al contrario, si diede alle madri tutte le possibilità per la felicità dei suoi figli. Né alimenti, né medicine, né vestiti, né scarpe, né educazione mancano ai bambini qui, come deplorevolmente mancano tra noi. Questa tragedia delle madri cilene, delle madri dell'America Latina, di milioni di madri, non esiste là, signori vescovi.
In nessun posto le donne occupano posti tanto preminenti. Dirigono imprese, cliniche, case editrici, fabbriche, università.
E come può arrivarsi a deformare i fatti in questa maniera?

ANDIAMO IN URSS, CARDINALE

Migliaia di cattolici hanno visitato questi anni l'Unione Sovietica. Ho visto lì e ho conversato con sacerdoti del Brasile, del Perù, dell'Italia. Migliaia di madri latinoamericane hanno visitato i meravigliosi asili infantili, ubicati negli edifici di abitazioni, nelle fabbriche, negli ospedali. I bambini meglio vestiti del mondo sono i bambini sovietici, tutti i bambini sovietici, non pochi come a Santiago del Cile.
E perché non andiamo insieme, signor cardinale, e vediamo se questa è verità o non lo è? Io ho visto, signor cardinale. San Tommaso disse: "Vedere per credere". Sono sicuro che lei sarebbe ben ricevuto lì, col rispetto alla dignità della sua investitura. O è che sto uscendo dal testo o sto sognando? Può essere considerato impossibile che un cardinale cileno ed un poeta cileno vadano e vedano le cose? Mi piacerebbe entrare con lei in centinaia di case che conosco, conversare con le madri, accarezzare ai bambini, che lì sono come tutte le madri e tutti i bambini, amorose esse, innocenti essi, ma con qualcosa di nuovo: la sicurezza nella vita. Nessuno ha paura dell'abbandono, della miseria, della fame, del freddo. Quello non esiste lì.
Mi trovai solo un mese fa nel sanatorio di Sochi, dove stavo curando le mie indisposizioni, con la vedova del gran pittore francese già scomparso Fernand Léger. Fu un caso solamente che ci incontrassimo, dato che quel paese di Sochi riceve in ogni stagione più di un milione di lavoratori che occupano migliaia di case di riposo e sanatori. Conversiamo come vecchi amici.
La signora Léger è di origine russa, ma vive da più di 30 anni in Francia. Aveva appena visitato alla sua famiglia in un villaggio russo. Mi commosse profondamente quello che mi disse.

Lei non ha idea, Pablo, dei cambiamenti che ho trovato. Ho visto a tutta la mia famiglia, i miei fratelli e sorelle. Tra come vivevamo prima e come vive ora la gente c'è un abisso. Noi non eravamo i più poveri del paese. Mio padre era un funzionario modesto, ma con maggiori entrate che molta altra gente. Io andavo alla scuola con una giacca rotta, da uomo, con una corda che me la stringeva alla vita. Non avemmo mai da comprarci collant. Le scarpe rotte di mio padre, scartate da lui, venivano ripiempite con carta di giornale affinché i miei piccoli piedi le trascinassero per le strade piene di fango. Io incominciavo a disegnare ed a dipingere e dovetti impadronirmi di una piccola lampada con le mie proprie mani per dipingere nella notte, perché di giorno bisognava lavorare tutte le ore, nonostante la nostra tenera età.
Ora mi raccontarono come avevano passato la guerra.
I nazisti invasero anche il mio paese. Occuparono tutte le case. I tedeschi fucilavano uomini e donne tutti i giorni. La mia famiglia, donne e bambini, trovarono un buco in terra. Lì passavano tutto il giorno. Nel buco non c'era spazio per stendersi. Tutto il giorno si stringevano gli uni agli altri in piedi e messi sotto terra. Solo molto tardi nella notte potevano cuocere alcune patate o radici, mangiarli e ritornare alla loro sepoltura. Così fino a che non andarono via i tedeschi.
Che cosa mantenne questa famiglia unita contro la fame, contro il freddo, contro la guerra di sterminio? Il sentimento più profondo e più alto, l’alto morale della famiglia sovietica, l'alto livello dell'eroismo, il senso di patria e di nazionalità, il sentimento di unità familiare, la preservazione della casa, fondamento basilare della società socialista.

FINÌ L'IMMONDO TRAFFICO

Ma, come la casa e la famiglia della mia amica erano migliaia e milioni di case che soffrirono la guerra, la perdita dei loro beni, la separazione e la morte e che dopo si ricostruirono e fiorirono di nuovo nell'allegria e nel lavoro.
Ricordo in questo momento quel libro terribile che alcune decadi fa produsse spavento e commozione nel mondo:
El camino de Buenos Aires, del giornalista francese Albert Londres. Lì si descriveva come prima della Rivoluzione i trafficanti di bianchi compravano a migliaia le ragazze in Polonia e Besarabia e li vendevano nei postriboli di Buenos Aires. Quell'immondo traffico terminò col socialismo. Ma i postriboli continuano a prosperare nel mondo capitalista. I pirati non possono comprare lì la loro mercanzia umana. Dove la comprano? Io ho visto per le strade di Amburgo e di Anversa vetrine con luci al neon che esibiscono le prostitute, la mercanzia umana. Queste ragazze sono comprate, in base della distruzione della famiglia, nei campi e nei villaggi del cisiddetto Mondo Libero.
Contro questo e contro la corruzione aristocratica della
dolce vita, contro tutti gli attentati alla dignità dell'essere umano dobbiamo lottare tutti, cattolici e non cattolici, credenti o non credenti, ed inoltre abbiamo il dovere di lottare insieme, cattolici e non cattolici, contro la degradazione che impone la miseria, contro l'analfabetismo, contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. In questa lotta nessuno potrà separare i comunisti dai cattolici, né noi, i comunisti, accetteremo questa separazione.
Dicevamo un momento fa che anche questa campagna della Chiesa contro i comunisti può nascere in altre fonti.
La Chiesa ha visto allontanarsi le masse dal suo seno. I popoli hanno trovato sempre la Chiesa che appoggiava le cause antipopulari. Ricordiamo come i vescovi benedissero gli aeroplani fascisti che bombardarono le indifese città spagnole. Benedissero anche gli eserciti che partivano a massacrare innocenti in Abissina. La Chiesa appoggiò Franco e le sue guardie more. Solo il 17 maggio 1962. il nunzio papale in Spagna, Giliberto Antonietti, fece tali lodi dal capo fascista che centinaia di cattolici, o forse migliaia di essi, iniziarono a collaborare coi comunisti.
Il governo di Salazar sovvenziona le Chiese dell'Angola e del Mozambico e queste aiutano a mantenere la schiavitú in quelle regioni dell'Africa. Nel Congo, i colonialisti belgi, contarono sull'aiuto della Chiesa. Nel 1947 il papa approvò la dottrina Truman che stabilisce la politica estera degli Stati Uniti orientata verso lo scatenamento di una terza guerra mondiale. Nel febbraio del 1949, Pio XII appoggiò il Patto Atlantico, patto di guerra e di aggressione. Nel 1959 la rivista del Vaticano
Civiltá Cattolica accoglieva questi preparativi di guerra con la seguente frase: "Noi valutiamo il fatto dell'organizzazione del Patto dell'Atlantico come un atto enormemente positivo."
Anticipando il crescente sentimento di disgusto e disaffezione che sentono i credenti ed i paesi in generale, la Chiesa ha cominciato a realizzare piccoli atti che sembrerebbero mostrare un'altra rotta. Un paio di fundi della sua proprietà sono stati ripartiti fra alcune famiglie campagnole col fine di fare nuovi proprietari.

IMMENSI VINCOLI

Ma, la verità è che la Chiesa conserva il suo favoloso potere finanziario, imparentato ai grandi monopoli mondiali. Conta con vincoli economici oltre Roma e l'Italia. Negli Stati Uniti della Nordamerica, per citare un paese, conta su forti investimenti di capitale nella Banca di Morgan, nel trust petrolifero Sinclair Oil, con parte apprezzabile delle azioni della Bank of America, delle grandi compagnie metallurgiche Republic Steel, National Steel, e delle compagnie di navigazione aerea Boeing, Douglas, Lockheed e Curtiss-Raith. Tutti i cileni sanno che le lussuose barche della Casa Grace, i
Santa, come le raffinerie di zucchero ed altre industrie di quella sicetà appartengono in gran parte alla Chiesa. È anche di pubblica conoscenza che, nel piano mondiale, 92 delle più grandi società di capitali sono controllate dal Vaticano.
È chiaro per quelli che mi ascoltano, e per quelli che sanno queste cose, che la Chiesa si è associata attraverso immensi vincoli col capitalismo, con le avventure coloniali, con la politica imperialista degli Stati Uniti. Che il crollo di tutta questa macchina, le sue crepe, le sue rotture, tutto quello che presagisce la fine di un'epoca, spaventa anche tanto secolare istituzione.
Col risultato che, da un lato, vuole rimodernarsi per recuperare socialmente dal suo isolamento dalle masse popolari. Con questo fine e per unificare il mondo religioso apre e chiude le porte di un gran Concilio Ecumenico, in cui revisionerà la sua strategia.
D'altra parte, tende a mettere sul trono grandi partiti politici direttamente legati al suo mandato, come sono i partiti democraticocristiani della Germania ed Italia. In questo senso non voglio parlare del Cile perché voi ne sapete più di me.
Il salario di un operaio cattolico, di un impiegato cattolico, di un contadino cattolico, è completamente uguale e sempre insufficiente a quello che percepisce un operaio, un impiegato o un contadino senza credenze. Se separiamo quelli che credono nel cielo da quelli che non credono nel cielo, stiamo perdendo la terra, staremo consegnando il presente ad un regime di ingiustizia che non può sopravvivere. Se si dividono gli sfruttati non può guadagnare Dio, bensì gli sfruttatori.

SI PRECIPITA LA ROVINA

Nel frattempo le compagnie Weir Scott ed altre due guadagnarono in un giorno, il quattro novembre dell'anno scorso, cento milioni di pesos perché furono liberate dall’imposta per importare latte condensato. Il rialzo ufficiale del dollaro ha fatto salire ancora più il latte, e l'alimento tra i bambini, lo zucchero è salito di 12 pesos il chilo ed il chilo di burro di 800 pesos. Il rialzo del dollaro a 1.380 pesos lo pagherà il popolo 112 mila milioni. Se il rialzo è a 1.600 il pagamento arriva a 187 mila milioni di pesos.
Le imprese nordamericane Anaconda e Braden guadagneranno automaticamente tra 10 e 20 milioni di dollari. Un piccolo numero di latifondisti e magnati finanziari guadagneranno in una sola volta da 50 mila a 80 mila milioni di pesos e se il dollaro sale a 2.000 pesos guadagneranno 152 mila milioni.
Si sta precipitando, dunque, alla nostra vista la rovina del Cile. Le piccole riorganizzazioni che promette il governo saranno spazzate in questa onda di guadagni per alcuni poderosi in questa mareggiata di miseria che ci è venuta sopra. Il chilo di cipolle si sta vendendo fino a 900 pesos. Come comprerà il popolo la carne da cucinare a mille pesos?
Nel frattempo i vescovi propongono ai cattolici, agli operai cattolici che lottino contro gli operai comunisti, propongono agli impiegati cattolici, ai professionisti cattolici, ai commercianti cattolici, ai contadini cattolici, alle madri cattoliche, non che lottino contro i rialzi, non ci propongono di fermare la valanga che abbatte le ossa della nostra patria, ma ci propongono una lotta tra fratelli su idee religiose che possono poggiare nella coscienza di ognuno.
Noi, al contrario, pensiamo che niente può separarci, soprattutto in questa emergenza. Abbiamo il dovere sacro di fermare prima di tutto questo terremoto prima che il terremoto ci distrugga tutti insieme. Possiamo ancora farlo, possiamo unirci in un movimento nazionale contro la fame. La svalutazione è stata ordinata dal governo nordamericano, lo stesso governo che vuole distruggere Cuba senza altro argomento che le armi, vuole attaccare per fame il nostro paese. Vogliono trasformare la nostra patria in un paese di mendicanti. Noi comunisti cileni non possiamo permetterlo. Chiamiamo tutti i cileni a lottare, a manifestarsi, a protestare. Vogliamo lottare contro molte iniquità.
L'impeto dei cileni deve dirigersi contro la miseria, contro le cause di essa. L'impeto dei cileni deve dirigersi in una sola forza comune contro quelli che impongono l'avversità e l'umiliazione alla nostra vita nazionale che può essere ogni giorno più bella e più grande.
La pastorale dei vescovi sta dando già i suoi frutti.
Si sta celebrando attualmente in Santiago un Festival di Cori Giovanili di tutto il Cile. Sono venute delegazioni dal nord e del sud, in maggiore quantità di quelle che venivano ad altri festival gli anni precedenti. I bambini si alloggiarono sempre in scuole pubbliche, stabilimenti particolari, commissariati, etc.
Questo anno si chiusero le porte delle scuole cattoliche per i bambini di Lota e Coronel. Il Liceo Barros Arana non potè ricevere perchè non stava in condizioni adeguate il suo locale. Ma le scuole cattoliche, ai quali fu offerto loro dagli organizzatori del Festival la somma di 1.000 pesos per ogni bambino che avrebbero alloggiato, si rifiutarono di riceverli argomentando che si trattava di bambini comunisti.
Signori vescovi, questo si chiama cristianesimo?
Ma, l'impeto della pastorale si dirige contro il comunismo. Questo è spiegabile. La metà dell'umanità, mille milioni di uomini, si vivono, ordinano e lavorano nella struttura socialista. Hanno abolito la radice del capitalismo, e, tuttavia, vivono, creano, producono, e raggiungono i più alti livelli della cultura, della scienza e dell'economia. Si spiega, dunque, che tutte le istituzioni legate al capitalismo moribondo tocchino in allarme le loro campane: incendio, incendio, dicono. Ma nessuno si sta scottando.
Vi sarete accorti, amici miei, che questa conversazione che cominciai tanto allegramente con voi, parlando di cosmonauti e di uccelli si sia andata oscurando con molti appuntamenti pontificali, con dati storici, fino a spaventosi nomi di società per zioni. Nessuno lo sente più di me.
Mi sarebbe piaciuto di più leggervi i miei versi sugli uccelli del Cile. Ci sarà un'altra volta, ve lo prometto.

MI SONO SENTITO OFFESO

Ma la verità è che mi sono sentito offeso dalla pastorale. Non sono cattolico, né sono credente di nessuna religione. Ho visto nella mia lunga vita, nei miei continui viaggi, da molto giovane, i più diversi riti, i tempii di Maometto, le immense basiliche, le pagode buddiste, gli strani tempii indù in cui dei dalle venti braccia e visi di elefanti, furono venerati in quel millenario e profondo paese di cento milioni di abitanti. Ci sono molte religioni, ma in generale non è la sua carta a dominare il mondo e rompere la pace dell'uomo.
In pomeriggi interi, nella solitudine della mia casa della Ceylon, ho visto la sfilata gialla di migliaia di monaci, discepoli di Gautama Budha, verso i tempii adornati con immense statue di pietra.
Ho visto per giorni interi bruciare i cadaveri secondo riti antichi sul bordo del fiume Gange. Ho visto rappresentazioni di dei di tutte forme e colori, belli dei greci, dei a forma di serpente, dei con lunga lingua rossa, dee sanguinanti con collane fatte di teschi umani, tempii pieni di dei dorati. Ho visto ballare di fronte ai tempii, ho visto prosternarsi tutte le religioni, ho visto i credentidi Maometto attraversare con i piedi nudi un lungo tappeto di fuoco vivo, ho sentito ululare i dervisci, e ho visto rompersi la fronte nella terra ai vecchi mongoli, in adorazione dei loro antichi dei.
Ma, tra tante cose che ho visto, forse la cosa più antica e la cosa più semplice è quello che continuò ad essere per me la cosa più incancellabile: è il ricordo di mia madre, incurvata per l'età, pregando le sue orazioni in un angolo della nostra povera casa di Temuco. Immaginai sempre, quando ero bambino, che quello era un atto in più della sua bontà.
Perciò mi rattristò la pastorale. Mi sembrò inaccettabile la sua violenza politica, la sua incursione in un mondo di combattimento, il suo equivoco dei fatti della storia contemporanea. Senza essere credente io sentii che lo spirito del pastorale si sollevava contro i miei ricordi. Rimuoveva l'immagine di mia madre, della sua intimità religiosa, per lanciarla alle fiamme di una guerra. Di una guerra religiosa che i comunisti per nessun motivo accetteranno.
Noi detestiamo l'anticlericalismo borghese che pretende distrarre l'attenzione verso un conflitto metafisico sentendosi al di sopra degli altari in uno pseudo Fronte Democratico coi veri colpevoli dello sfruttamento e del ritardo per disputarsi il bottino. Non è la religione quella che divide i cileni, né agli altri paesi. È la lotta per conservare i privilegi o per dare giustizia e benessere agli uomini. Non sono nemici nostri i cattolici, bensì gli sfruttatori. Questi possono essere cattolici o possono essere atei. Noi vogliamo cambiare la società umana e consegnare il beneficio della natura e del lavoro a tutti gli esseri umani. Vogliamo che non ci siano poveri nel mondo, vogliamo che la ricchezza si distribuisca, non per la carità né la pietà, bensì per il diritto sacro che ha ogni essere umano alla dignità ed alla vita.
Alcuni giorni fa nel plenum del mio partito seppi che i giovani minerari della poderosa compagnia mineraria di El Tofo dormono in grotte, scavate da loro stessi.
Che importanza ha che quei giovani compatrioti nelle sue tane siano cattolici o non siano cattolici? È un'altra cosa quella che li unisce: cattolici o non cattolici sono stati lì offesi ed umiliati da un trattamento inumano. Insieme devono lottare per finire una volta per tutte con un sistema sociale che li degrada.
Un'altra volta noi comunisti cileni tendiamo la mano a tutti i cattolici per lavorare in comune, per il benessere, per il progresso, per la giustizia e per l'allegria.
Questa è la nostra posizione ed in lei saremo inflessibili. Nessuno ci porterà a confondere il cammino verso la luce. Le differenze religiose non sono steccati che possano bloccare il progresso dell'umanità. Non lo sono state. Le masse saltano questi steccati e si uniscono gli uomini in una marcia che non retrocede, che avanza sempre per dominare e conquistare la natura e stabilire tutte le possibilità della fraternità sulla terra.

"ANCORA ABBIAMO LA PATRIA"

Mancano già pochi minuti affinché lasci questa tribuna e tutti ci disperdiamo, ai nostri quartieri, alle nostre popolazioni, ai nostri lavori. Non voglio lasciare solamente l'impressione di un futuro saturo solamente dalle calamità, dalle angosce, dalle tenaglie che ci stringono. Al contrario, vedo raggianti possibilità, immense vittorie, ma queste non ci cadranno dal cielo. Saranno la conseguenza di un lotta corpo a corpo, strada per strada e cuore per cuore per poter cambiare l'aspetto ed il fondo il nostro paese. La reazione, le forze nemiche del paese cileno sono appoggiate internazionalmente da gente malvagia e poderosa. Ma Fidel Castro ha provato che non sono invincibili. Anche noi possiamo provarlo, in forma pacifica ed in altre forme più decise, ma prima abbiamo bisogno del lavoro di ognuno dei lavoratori, la speranza di tutti quelli che hanno speranza, il coraggio di tutti i coraggiosi. Non dimentichiamo che uno dei nostri guerriglieri del passato che, a sua volta, fu il più coraggioso ed il più brillante dei guerriglieri della gesta per l'emancipazione americana ci lasciò un grido che ancora risuona: "Abbiamo ancora la patria, cittadini."
Ritorno questo pomeriggio alla casa mia in Isla Negra. Abbiamo ancora la patria. Abbiamo ancora il meraviglioso mare, abbiamo ancora la primavera fiorita. Lasciatemi ritornare, anche se per alcuni giorni, alla mia poesia, a cantare anche tra tante bellezze della patria i begli uccelli del Cile.

Discorso pronunciato nel Teatro Caupolicán,
Santiago, 12.10.1962, Pubblicato in opuscolo
(Santiago) Imprenta Horizonte, 1962, ed in
El Siglo, Santiago, il 14.10.1962.



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