- 1970 - Le pietre del cielo - Pablo Neruda - Popol Vuh - Insetti

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- 1970 - Le pietre del cielo

1970 - Le Pietre del cielo

«D'indurire la terra...»

D'indurire la terra
s'incaricarono le pietre:
presto
ebbero ali:
le pietre
che volarono:
quelle che sopravvissero
innalzarono
il lampo,
lanciarono un grido nella notte,
un segno d'acqua,
una spada violetta,
una meteora.

Il cielo
succulento
non solo ebbe nubi,
non solo spazio con odor d'ossigeno,
ma una pietra terrestre
qua e là, brillante,
convertita in colomba,
convertita in campana,
in grandezza, in vento
penetrante :
in fosforea freccia, in sale del cielo.

« Il quarzo apre gli occhi... »

Il quarzo apre gli occhi nella neve
e si copre di spine,
scivola nella bianchezza,
nella sua bianchezza:
fabbrica gli specchi,
si ritrae in strati e facce:
è il riccio bianco
delle profondità,
il figlio del sale che ascende al cielo,
il fior di zagara gelido
del silenzio,
il cànone della schiuma:
la trasparenza che mi destinarono
per virtù dell'orgoglio della terra.

« Turchese t’amo... »

Turchese, t'amo come fossi la mia fidanzata,
come fossi mia:
in ogni parte sei:
sei appena lavata,
appena azzurra celeste:
appena cadi dal cielo:
sei gli occhi del cielo:
rompi la superficie
del negozio e dell'aria:
mandorla azzurra:
unghia celeste:
fidanzata.

« Quando tutto era altezza... »

Quando tutto era altezza,
altezza,
altezza,
lì attendeva lo smeraldo freddo,
lo sguardo smeraldo:
era un occhio:
guardava
ed era centro del cielo,
centro del vuoto:
lo smeraldo
guardava :
guardava, duro, immensamente verde,
come se fosse un occhio
dell'oceano,
occhio immobile dell'acqua,
goccia di Dio, vittoria
del freddo, torre verde.

« È difficile dire… »

(È difficile dire ciò che m'accadde in Colombia, patria riconosciuta dei supremi smeraldi. Avvenne che lì ne cercarono uno per me, lo scoprirono e lo tagliarono, lo sollevavano tra le dita tutti i poeti per offrirmelo, e, già nell'alto delle mani di tutti i poeti riuniti, il mio smeraldo ascese, pietra celestiale, fino a evadere nell'aria, in mezzo a una tempesta che ci empì di paura. In quel paese le farfalle, specialmente quelle della provincia di Muzo, brillano con fulgore indescrivibile e in quell'occasione, dopo l'ascensione dello smeraldo e passata la tempesta, lo spazio si popolò di farfalle trepidamente azzurre che oscurarono il sole avvolgendolo in una gran fronda, come fosse cresciuto d'improvviso in mezzo a noi, attoniti poeti, un grande albero azzurro.
Questo fatto si verificò in Colombia, dipartimento di Charaquira, nell'ottobre del 194... Non ho più ritrovato lo smeraldo).

« Ho cercato una goccia... »

Ho cercato una goccia d'acqua,
di miele, di sangue: tutto
s'è convertito in pietra,
in pietra pura:
lacrima o pioggia, l'acqua
continua a correr nella pietra:
sangue o miele camminarono
fino all'agata.
Il fiume spezza
la sua luce liquida,
cade
il vino nella coppa,
arde il suo dolce fuoco
nella coppa di pietra:
il tempo corre
come un fiume rotto
che porta gravi morti,
alberi spogli
di sussurri, tutto
corre verso la durezza:
se n'andran la polvere, l'autunno,
i libri e le foglie,
l'acqua: allora
il sole di pietra brillerà
sopra tutte le pietre.

« Oh atteggiamento sommerso... »

Oh atteggiamento sommerso
nella materia,
opaco muro che protegge
la torre di zaffiro,
gusci delle pietre
inerenti alla fermezza e alla docilità,
all'ardente segreto
e alla pelle permanente della notte,
occhi dentro,
dentro
il nascosto splendore,
silenziosi
come una profezia
che un colpo chiaro dissotterrerebbe.
Oh chiarità raggiante,
arancia della luce pietrificata,
integra fortezza della luce
chiusa in lentissimo silenzio
finché uno scoppio
dissotterri il fulgore delle sue spade.

« Lunghe labbra dell'agata marina... »

Lunghe labbra dell'agata marina,
bocche lineari, baci
trasmigrati,
fiumi che trattennero le loro azzurre
acque dal canto immobile.
Io conosco
la strada
che trascorse da un'età a un'altra età
finché fuoco o vegetale o liquido
si trasformarono in profonda rosa,
in sorgente dalle gocce richiuse,
in patrimonio della geologia.

Io dormo a volte, vado
verso l'origine, retrocedo in bilico
portato dalla mia condizione intrinseca
di dormiglione della natura,
e in sogno vago
risvegliandomi nel fondo delle pietre.

« Un lungo giorno... »

Un lungo giorno si coprì d'acqua,
di fuoco, di fumo, di silenzio, d'oro,
d'argento, di cenere, di trascorso,
e lì rimase sparso il lungo giorno:
cadde l'albero intatto e calcinato,
un secolo e un altro lo coprirono
fino a che convertito in ampia pietra
cambiò d'eternità e di fogliame.

« Io t'invito al topazio... »

Io t'invito al topazio,
all'alveare
della pietra gialla,
alle sue api,
al miele congelato
del topazio,
al suo giorno d'oro,
alla famiglia
della tranquillità riverberante:
si tratta d'una chiesa
minuscola, stabilita in un fiore,
come ape, come
la struttura del sole, foglia d'autunno
della profondità più gialla,
dell'albero incendiato
raggio a raggio, lampo a corolla,
insetto e miele e autunno
nel sale del sole si trasformarono:
quel miele, quel tremito del mondo,
quel frumento del cielo
furono lavorati fino a convertirsi
in sole tranquillo, in pallido topazio.

« Dallo scoppio alla rottura... »

Dallo scoppio alla rottura ferrea,
dalla screpolatura alla strada,
dal sisma al fuoco, al rotolio, al fiume,
rimase immobile quel cuore
d'acqua celeste, d'oro,
e ogni vena di diaspro o di solfuro
fu un movimento, un'ala,
una goccia di fuoco o di rugiada.

Senza muoversi o crescere vive la pietra?

Ha labbra l'agata marina?
Io non risponderò perché non posso:
questa fu la turbolenta genesi
delle pietre ardenti e crescenti
che da allora vivono nel freddo.

« Io voglio che si svegli... »

Io voglio che si svegli
la luce incarcerata:
fiore minerale, accorri
alla mia condotta:
le palpebre sollevano la cortina
del lungo tempo denso
finché quegli occhi sotterrati
tornano a essere e a vedere la loro trasparenza.

«Il lichene sulla pietra... »

II lichene sulla pietra, rampicante
di gomma verde, avvolge
il più antico geroglifico,
distende la scrittura
dell'oceano
sulla roccia rotonda.
La legge il sole, la mordono i molluschi,
e i pesci scivolano
di pietra in pietra come brividi.
Nel silenzio continua l'alfabeto
a completare i segni sommersi
nel fianco chiaro della costa.

Il lichene tessitore con la sua matassa
va e viene sale e sale
tappezzando la grotta d'aria e d'acqua
perché nessuno danzi, altro che l'onda,
e non accada nulla, altro che il vento.

« Pietra rotolante... »

Pietra rotolante, d'acqua o di cordigliera,
figlia rotonda del vulcano, colomba
della neve,
scendendo verso il mare lasciò la forma
la sua collera perduta nelle strade,
la roccia perse il suo acuminato
segno mortale, allora
come un uovo del cielo entrò nel fiume,
continuò a rotolare tra l'altre pietre
dimentica della sua progenitura,
lungi dall'infernale distacco.

Così, dolce di cielo, giunge al mare
perfetta, sconfitta,
concentrata, insigne,
la purezza.

« Bisogna percorrere la riva... »

Bisogna percorrere la riva
del Lago Tragosoldo in Antiñana,
presto, quando la rugiada
trema sulle foglie dure della magnolia,
e raccogliere pietre bagnate, uva
della riva, pietre
accese, di diaspro,
pietruzze violette o favi
di roccia, perforati
dai vulcani o dalle intemperie,
dal muso del vento.

Sì, il crisolite oblungo
o il basalto etiopista
o la ciclopica lettera
del granito
lì ti attendono, ma nessuno accorre
se non l'ignoto pescatore immerso
nella sua mercanzia palpitante.

Solo io accorro, a volte,
di mattina,
a questo appuntamento con pietre scivolate,
bagnate, cristalline,
cineree,
e con le mani piene
d'incendi spenti,
di strutture segrete,
di mandorle trasparenti
torno alla mia famiglia,
ai miei doveri,
più ignorante di quando sono nato,
più semplice ogni giorno,
ogni pietra.

« Qui sta l’albero... »

Qui sta l'albero nella pura pietra,
nell'evidenza, nella dura bellezza
da cento milioni d'anni costruita.

Agata e cornalina e luminaria
sostituirono linfe e legno
finché il tronco del gigante
ricacciò il bagnato marciume
e amalgamò una statua parallela:
il fogliame vivente
si disfece
e quando il verticale fu abbattuto,
bruciato il bosco, l'igneo polverone,
la celestiale cenere lo avvolse
fino a che tempo e lava gli concessero
un guiderdone di pietra trasparente.

«Ma non giunge la lezione all'uomo... »

Ma non giunge la lezione all'uomo:
la lezione della pietra:
s'abbatte e si disfa la sua materia,
la sua parola e la voce si sbriciolano.

Il fuoco, l'acqua, l'albero
induriscono,
cercan morendo un corpo minerale,
han trovato una strada nel fulgore:
arde la pietra nella sua immobilità.
come una nuova rosa indurita.

Cade l'anima dell'uomo nell'imputriditoio
col suo involucro fragile e circolano
nelle sue vene giacenti
i baci molli e divoranti
che consumano e abitano
il triste torrione del distrutto.

Non lo preserva il tempo che lo cancella:
la terra di alcuni anni lo distrugge:
lo dissemina il suo spaziale collegio.

La pietra pura ignora
il passeggero passo del verme.

« Illustre calcedonia.... »

Illustre calcedonia,
onor del cielo,
delicata,
ovale, tersa, indivisa,
risorta,
celebro la dolcezza del tuo fuoco,
la durezza sincera
dell'omaggio nell'anello fresco
della ragazza, non sei
il carissimo inferno del rubino,
né la personalità dello smeraldo.
Sei più pietra delle strade,
semplice come un cane,
opaca nell'infinita
trasmigrazione dell'acqua,
presso il legno
della selva odorosa,
figlia delle radici
della terra.

« Si concentra il silenzio... »

Si concentra il silenzio
in una pietra,
i cerchi si chiudono,
il mondo tremante,
guerre, uccelli, case,
città, treni, boschi,
l'onda che ripete le domande del mare,
il successivo viaggio dell'aurora,
giunge alla pietra, noce del cielo,
testimone prodigioso.

La pietra polverosa in una strada
conosce Pedro e i suoi antecedenti,
conosce l'acqua fin da quando è nata:
è la parola muta della terra:
non dice nulla perché è l'erede
del silenzio anteriore, dell'immobile mare,
della terra vuota.

La pietra era lì prima del vento,
prima dell'uomo e prima dell'aurora:
il suo primo movimento
fu la prima musica del fiume.


« Roca è la cordigliera americana... »

Roca è la cordigliera americana,
nevosa, irsuta e dura,
planetaria :
lì giace l'azzurro degli azzurri,
l'azzurro solitudine, azzurro segreto,
il nido dell'azzurro, il lapislazzulo,
l'azzurro scheletro della mia patria.

Arde la miccia, cresce lo scoppio
e si sgrana il petto della pietra:
sopra la dinamite è tenero il fumo
e sotto il fumo l'ossatura azzurra,
le zolle di pietra ultramarìna.

Oh cattedrale d'azzurri sotterrati,
scossa di cristallo azzurro,
occhio del mare coperto dalla neve
nuovamente alla luce torni dell'acqua,
al giorno, alla pelle chiara
dello spazio,
al cielo azzurro torna l'azzurro terrestre.

« Le petree nubi... »

Le petree nubi, le amare nubi
sopra gli edifici dell'inverno
lascian cadere i neri filamenti:
pioggia di pietra, pioggia.

La densa società
della città non sa
che i fili di pietra son discesi
al cuore della città di pietra.

Sbarcano le nubi sacco a sacco
le pietre dell'inverno
e dall'alto cade l'acqua nera,
l'acqua nera sopra la città.

«Entrai nella grotta delle ametiste... »

Entrai nella grotta delle ametiste:

lasciai il mio sangue tra spine violette:

cambiai di pelle, di vino, di criterio:

da allora mi dolgono le viole.

« Io sono questo nudo... »

Io sono questo nudo
minerale :
eco del sotterraneo:
sono felice
di venire da così lontano,
da tanta terra:
ultimo sono, appena
viscere, corpo, mani,
che si scostarono senza saper perché
dalla roccia materna,
senza speranza di permanere,
deciso all'umano transitorio,
destinato a vivere e a sfogliarsi.

Ah questo destino
della perpetuità oscurata,
del proprio essere - granito senza statua.
materia pura, irriducibile, fredda:
pietra fui: pietra oscura
e fu violenta la separazione,
una ferita nella mia nascita aliena:
voglio tornare
a quella certezza,
al riposo centrale, alla matrice
della pietra materna
da dove non so come né quando
mi staccarono per disgregarmi.

« Quando tornai dal mio settimo viaggio... »

Quando tornai dal mio settimo viaggio, prima di aprire la porta della mia casa, mi accadde di perdermi nel labirinto roccioso di Trasmañán, tra il roccione di Tralca e le prime case del Quisco Sud. In cerca di un anemone dal color violentissimo che molte volte, anni prima, avevo contemplato aderente ai muri di granito che la scogliera lava con i suoi scoppi salati. D'improvviso rimasi immobile davanti a un'antica porta di ferro. Credetti che si trattasse di un relitto del mare: non era così: spingendo con forza i cardini cedettero ed entrai in una grotta di pietra gialla che s'illuminava sola, tanta luce irradiavano fenditure, stalattiti e promontori. Indubbiamente qualcuno o qualcosa aveva un tempo abitato questa dimora, a giudicare dai resti di latte arrugginite che risuonarono sotto i miei passi. Chiamai
a voce alta, se per caso qualcuno fosse nascosto tra le guglie gialle. Stranamente, mi fu risposto: era la mia stessa voce, ma all'eco roco si aggiungeva alla fine un lamento penetrante e acuto. Ripetei l'esperienza, chiedendo a voce ancor più alta: C'è qualcuno dietro queste pietre? L'eco mi rispose di nuovo con la mia stessa voce arrochita e poi
estese la parola pietre con un ululato delirante, come venuto da altro pianeta. Un lungo brivido mi percorse inchiodandomi alla sabbia della grotta. Appena potei sollevare i piedi,
lentamente, come se camminassi sotto il mare, tornai verso la porta di ferro dell'entrata. Pensavo durante il duro ritorno che se avessi guardato indietro mi sarei convertito in sabbia, in pietra dorata, in sale di stalattite. Fu tutta una vittoria quell'evasione silenziosa. Giungendo alla soglia volsi la testa socchiudendo l'ala arrugginita del portone e d'improvviso udii nuovamente, dal fondo di quell'oscurità gialla, il lamento acuto e duplicato, come se un violino impazzito mi salutasse piangendo.
Mai osai raccontare ad alcuno questo fatto e da allora evito quel luogo selvaggio dalle grandi rocce marine che flagella l'oceano implacabile del Cile.

« Quando si tocca il topazio... »

Quando si tocca il topazio
il topazio ti tocca:
si sveglia il fuoco dolce
come se il vino nell'uva
si svegliasse.
Prima ancora di nascere, il vino chiaro
dentro una pietra
cerca circolazione, chiede parole,
consegna il suo alimento misterioso,
condivide il bacio della pelle umana:
il contatto sereno
di pietra e d'essere umano
accendono una rapida corolla
che torna poi ad esser ciò che era:
carne e pietra: entità nemiche.

« Lasciami un sotterraneo... »

Lasciami un sotterraneo, un labirinto
dove recarmi poi, quando senz'occhi,
senza tatto, nel vuoto
vorrò tornare a esser pietra muta
o mano dell'ombra.

Io so, non puoi tu, nessuno, nulla,
darmi questo luogo, questa strada,
ma, che farò delle mie povere passioni
se non servirono sulla superficie
della vita evidente
e se non cerco, io, di sopravvivere,
ma di sopramorire, di partecipare
d'una stagione metallica e addormentata,
d'origini ardenti. .

«Si diffonda nella crisi...»

Si diffonda nella crisi,
in altra genesi, nel cataclisma,
il corpo di colei che amo,
in ossidiana, in agata, in zaffiro,
in granito flagellato
dal vento del sale d'Antofagasta.
Che il suo minuscolo corpo,
le sue ciglia,
i piedi, i seni, le sue gambe di pane,
le sue vaste labbra, la sua parola rossa
continuino la pelle dell'alabastro :
che il suo cuore morto
canti rotolando e scenda
con le pietre del fiume
verso l'oceano.

« II quadrato al cristallo giunge cadendo... »

II quadrato al cristallo giunge cadendo
dalla sua simmetria:
colui che apre le porte della terra
trova nell'oscurità, chiara e completa,
la luce di questo sistema trasparente.

Il cubo del sale, le triangolari
dita del quarzo: l'acqua lineare
dei diamanti: il labirinto
dello zolfo e il suo gotico splendore:
dentro il nocciolo dell'ametista
la moltiplicazione dei rettangoli:
tutto questo ho trovato sotto terra:
geometria sotterrata:
scuola del sale: ordine del fuoco.

« Bisogna parlar chiaro... »

Bisogna parlar chiaro delle pietre chiare,
delle pietre oscure,
della roccia ancestrale, del raggio azzurro
rimasto prigioniero nello zaffiro,
della roccia statuaria nella sua grandezza
irregolare, del volo sottomarino,
dello smeraldo col suo incendio verde.

Orbene, il ciottolo
o la mercanzia fulgorante,
il lampo vergine del rubino
o l'onda congelata della costa
o il segreto giaietto che scelse
il brillio negativo dell'ombra,
io chiedo, mortale, perituro,
da qual madre vennero, da quale sperma
vulcanico, oceanico, fluviale,
da qual flora anteriore, da quale aroma,
interrotto dalla luce glaciale?
Io sono di quegli uomini transitori
che fuggendo dall'amore nell'amore
rimasero bruciati, suddivisi
in carne e baci, in parole nere
che si divorò l'ombra:
non son capace di tanti misteri:
apro gli occhi e non vedo nulla:
tocco la terra e continuo il viaggio
mentre fuochi o fiore, aroma o acqua,
si trasformano in razze di cristallo,
s'eternizzano in opre della luce.

« Vengo, vengo, pietre attendete! »

Vengo, vengo, pietre attendete!

Una volta o voce o tempo
possiamo stare insieme o essere uniti,
vivere, morire in quel gran silenzio
della durezza, madre del fulgore.

Una volta correndo
per fuoco di vulcano o uva del fiume
o propaganda fedele della freschezza
o camminata immobile nella neve
o polvere abbattuta nelle province
dei deserti, polverone
di metalli,
o ancor più lungi, polare, patria dì pietra,
zaffiro gelido,
antartico,
in questo punto o porto o parto o morte
pietra saremo, notte senza bandiere,
amore immobile, fulgore infinito,
luce dell'eternità, fuoco sepolto,
orgoglio condannato alla sua energia,
unica stella che ci appartiene.


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