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-- Album Terusa (1923)

Album Terusa
(1923)
Allora le signorine trascrivevano sulle vergini pagine di album più o meno lussuosi e decorati i poemi da loro prediletti, ma soprattutto sollecitavano le amiche, agli amici, ed in particolare ai corteggiatori, la trascrizione di altri poemi o, meglio ancora, la scrittura di messaggi o testi originali. L’Álbum Terusa è uno di questi documenti. Dal golpe militare del 1973 si ignora la sua ubicazione.
Quando mi fu affidato nel 1971 - per preparare la sua pubblicazione in AUCh - il suo stato di conservazione era piuttosto precario. Nelle sue pagine l'adolescente Pablo Neruda aveva scritto di propria mano - nel febbraio di 1923 e nel villaggio chiamato allora Bajo Imperial e dopo Puerto Saavedra, vicino allo sbocco del fiume Imperial - alcune attestazioni del proprio amore verso una ragazza che più tardi anni nominarono Terusa in "Amores: Terusa" del Memorial de Isla Negra, II (OCGC, vol. II, pp. 1173-1179).
Terusa era nel 1923 una delle ragazze Vásquez incluse nel frammento V del racconto El habitante y su esperanza del 1926: "Che cosa vuole dire questo? Tenti di incontrarla. Ella vive di fronte al chalet dei Vásquez." (OCGC vol. I, p. 222). Terusa Vásquez era una ragazza attraente se non francamente bella, come testimonia il fatto di essere stata scelta regina dei Giochi Floreali di Temuco nella primavera del 1920. L'adolescente Neftalí Reyes fu il poeta che lesse la sua "Salutación a la Reina" durante la cerimonia di incoronazione di Terusa. Il poema si pubblicò sul quotidiano La Mañana di Temuco il 23.11.1920 e separatamente - come mi assicurò nel 1967 Neruda stesso - in un libretto che sarebbe il primo comma registrabile nella bibliografia nerudiana. Disgraziatamente entrambe le pubblicazioni sono oggi introvabili. Ma nella primavera del 1920 il poema fu un’arma molto efficace per la conquista del cuore della Regina, o dell'Andalusa come la chiamò dopo il suo poeta innamorato. Ella sarà più avanti la Marisol (CHV, p. 75) ispiratrice di alcuni dei più celebri tra i Veinte poemas de amor ed anche di "La canción desesperada." Questo ultimo testo sembra avere sanzionato la separazione perché a partire da 1924 si perdono le tracce di Terusa nella scrittura di Neruda.
Devo segnalare qui una curiosità. Il vero nome di Terusa Vásquez - secondo dati degni di fede che mi ha procurato Bernardo Reyes - era Teresa LEÓN BATTIENS. La ragazza avrebbe preso il cognome Vásquez a causa del secondo matrimonio di sua madre, ciò che allora era più o meno un'abitudine generalizzata.
Quando preparai la pubblicazione dell'Álbum Terusa in AUCh, num. 157-160, Santiago, 1971, pp. 45-55, i testi che ora includo in queste Obras completas erano praticamente inediti. L'Álbum Terusa portava inoltre i seguenti testi manoscritti:
(1) poemi 1 e 4 di La cosecha di Rabindranath Tagore il cui trascrizione costituisce l'unica prova documentaria - se fosse necessario - che Neruda non mentiva ogni volta che dichiarò che "Il poema 16 [dei VPA] fu scritto come una parafrasi ad un poema di El jardinero, del poeta bengalese R. Tagore, dedicato specialmente ad una ragazza gran lettrice di questo poeta" (1961).
(2) "Mancha en tierras de color", datato "febbraio 9 o 10 [1923]", poema dopo compreso in Crepusculario con lievi modificazioni.
(3) "Playa del Sur", datato "Imperiale Bajo - secondo mese del 1923", poema dopo compreso in Crepusculario senza modificazioni.
(4) gruppo di versioni manoscritte, molto probabilmente gli originali, di cinque poesie della serie di El hondero entusiasta. I tre primi corrispondevano ai poesie 6, 12 e 9, con alcuni varianti minori, e per ciò non li raccolgo qui. Includo invece il quarto ("Cuando recuerdo que tienes que morirte" che apparteneva senza alcun dubbio alla stessa serie ma non fu raccolto nel libro, probabilmente perché questa era l'unica copia, non disponibile quando Neruda volle recuperare i suoi poemi di 10 anni prima - dispersi e dimenticati - per pubblicare il Hondero all'inizio del 1933, e il quinto che era una versione embrionale del poema 5 del Hondero.

1
[AUEL BOTE, SALVAVIDAS DE UN BARCO MERCANTE...] (Pagine 271-272.) Questa scialuppa fu un personaggio importante nel processo intimo di definizione che portò a Neruda al rifiuto dei poemi del Hondero ed alla contrastante (e vincitrice) accettazione dei Veinte poemas de amor all'inizio del 1924. Vedasi in questo stesso volume il testo "Este libro adolescente", scritto nel 1960.

Quella scialuppa, salvagente di una barca mercantile che conduceva farine di Valdivia al nord, naufragò chi sa dove. Le onde lo portarono a questa costa ed ora riposa nell'orto della mia casa, come un animale dolce e familiare.
    Come quelli ricordi che nonostante il tempo sostengono ancora la sua orma inesprimibile nelle anse del cuore, essa conserva ancora alghe minute e marine, licheni dell'acqua profonda, quella flora verde e minuscola che decora le radici delle barche. Ed io credo di vedere ancora l'orma disperata dei naufragi, quelli che nella finale angoscia si aggrapparono a questa intelaiatura marina mentre la tempesta li perseguiva immensamente.
    Quando il sole non si è nascosto ancora, mi arrampico a questa naufraga scialuppa, abbandonata tra le erbe dell'orto. Porto sempre un libro che non riesco mai ad aprire. Stendo il mio mantello sulla panca e, steso sopra, guardo al cielo infinitamente azzurro.
    Vecchi ricordi, sommersi nell'acqua del tempo, mi assaltano. Sempre, in posti di solitudine, mi spiano questi indefinibili rapinatori. Sempre, in posti di solitudine, sento straniera la mia anima. Rumori inaspettati, mormorii di voci sconosciute, canti soggiogati e nuovi canti conquistatori, una musica strana ed incontenibile si infrange sul mio cuore come il vento su una selva.
    Donna, in quelli momenti ti amo senza amarti. In te non penso perché in niente si trattiene il mio pensiero. Come un uccello ebbro, come una freccia perduta, attraversa senza destino fino a perdersi nell'oscura lontananza.
    Io stesso non mi ricordo: come potrei ricordarti?
    Ma il tuo amore poggia più dentro ed più fuori di me stesso. Bicchiere meravigliato che portò fino alle mie labbra il vino più dolce, bicchiere di amore. Non devo ricordarti. Come una lettera registrata profondamente, mi basta far volare la polvere impalpabile per vederti. Non penso a te, ma, abbandonato a tutte le forze del mio cuore, a te anche mi abbandono e mi arrendo, oh amore che sostieni i miei tumultuosi sogni come la terra del fondo del mare sostiene le abbandonate correnti e le maree incontenibili.

2

Poté questa pagina rimanere da scrivere, come molte di questo tuo quaderno rimarranno. Perché la scrivo? Niente saprebbe dire di me né di nessuno. È l'ora di sempre. La mia anima, una riga diritta ed infinita, senza principio e senza fine.
    Il desiderio sale come un'onda sull'orizzonte della nostra vita. E muore come un'onda. Quello è il dramma. Il cuore fatto una pianura grigia e desolata dove si vanno cancellando le orme più profonde, il cuore oramai dove non sta nessuno perché volle contenerli tutti. Non raggiungere, non trovare, non saziare l'ansia innumerabile: è questa quindi la fonte della felicità?
    Che non ci sia, allora, che non ci sia mai una corolla per il mio cuore di ape, che non ci sia mai un nido per il mio cuore di uccello viaggiante, e che non trovi mai il flauto di cui ha bisogno la mia bocca di pastore.

3

Lettera ad un sconosciuto

20 febbraio [1923]
Sig. L. Vinci, La Serena
. – Signore: Oltre le sue parole, e nelle parti che lei forse meno immagini, credo di incontrarla. Le sono grato, completamente, come una mano tesa verso me. Non è l'ora che mi appoggi a lei, forse le mie mani sono capaci di soccorrere quelle altrui, ma, come qualsiasi momento, passa quello dell'allegria ed arriva quello della solitudine. Per allora cerchiamoci. Mi cerchi. Io ho il cuore aperto per tutti. E non si disilluda dopo. Sono povero di monete e di parole, ma disprezzo ugualmente le parole e le monete. Esse, lontane da noi si arrendono e ci vendono o vendono un meschina immagine nostra. Adesso anche mi stanno vendendo. Perché niente desiderio di dire a lei, e se lei stesse con me, si sarebbe seduto su quella poltrona di vimini ed avremmo ascoltato in silenzio la rotolante voce del mare, che si precipita senza esaurirsi nell'imbrunire del porto.

4

10 febbraio [1923]
Oggi all'imbrunire, con la marea alta che riempiva il fiume col suo onda invaditrice e lenta, ho remato fino a stancarmi. A momenti mi stendevo nella panca della scialuppa e fumavo, di fronte al cielo immenso. Oh che vasti, che vastamente vasti questi cieli dei porti! Lo sguardo si ubriaca di guardare l'altezza e bisogna abbassare gli occhi alle coste, stanchi come le colombe di volare sull'orizzonte illimitato.
    Dopo, il mare. Il mare questo è fragoroso e magnifico. Nella spiaggia si rompe, si sgretola, si alza, si estende alla fine con le ultime onde che lambiscono le sabbie luminose. Ma dentro, nella lontananza, è puro e sereno, e si arrotonda come il ventre delle madri.
    Oggi faceva un crepuscolo, come quelli che i giapponesi dipingono nelle tazze di tè o nei paraventi. Era un sole rotondo, rotondo e rosso come una ciliegia molto rotonda, o piuttosto come un'arancia di porpora o di oro. Giallo, violetta, azzurro, che meravigliosi colori stendeva sulle onde! Soprattutto sulle moribonde, in quelle in cui si baciavano i miei piedi stranieri, come schiave portatrici dei migliori frutti del suo Paese di acqua, di fuoco e di oro.

5
[Y AL IRME, HE DEJADO ESCRITO TU NOMBRE...]. (Pagina 274.) Neruda scrive qui "Paolo e Terusa" ma inoltre l'Álbum Terusa portava un foglio sciolto trasparente, di colore giallo pallido, con la firma Paolo Neruda in uno dei suoi angoli. Ricorda che Neftalí Reyes aveva conosciuto Terusa nella primavera del 1920, la stessa primavera in cui cominciò ad usare l'allora pseudonimo Pablo Neruda. Si può supporre che nel poema "Ivresse", scritto nell'estate all'inizio del 1921 e dopo raccolto in Crepusculario, sono anche Neftalí e Terusa che nascondono la loro passione adolescente dietro le maschere letterarie di Paolo e Francesca: "Oggi che danza nel mio corpo la passione di Paolo / [...] / oh verso dove Francesca, ti porteranno le mie ali!" (OCGC vol. I, pp. 114-115).

Ed andando via, ho lasciato scritto il tuo nome, ed il mio nome, nella sabbia bagnata. Era una scritta grande, larga, così:

PAOLO

TERESA

Ma era più bello di questa.

6

Ella fu di passaggio,
lei incrociò il mio destino
e mi illuminò come una stella:
raffica di amore che me la portò,
strappamela dalle braccia
che non posso stare oramai con lei!

Nell'ora del bacio fummo
ognuno bocca e grappolo,
grappolo e bocca, ognuno,
ed amore come quello che mi consegnò
e dolore come quello che mi diede
non poté provare mai nessuno.

Dio le dirà quanto la volli.
Dio le dirà i giorni grigi
che sarà senza lei nel mio sentiero.
Ora, nella prima ansa,
con lei abbandono tutto:
Dio le dirà quanto la voglio!

7

Il mare, in lontananza, rompe
il suo grido oscuro e spaventoso.
- Madre, raccontami la storia
del Principe che era pazzo.

- Il mio bambino, a te assomigliava
nel pallido e nel triste:
tutto l'amava e sembrava
che odiava tutto quello che esiste.

Di volere senza che lo volessero
era il Principe pazzo:
era solo nelle mattine
e nei pomeriggi vagava solo.

Di aspettare senza che l'aspettassero
era il Principe pazzo:
più in là della terra vasta,
più in là guardavano i suoi occhi:
avvolto nella sua cappa oscura
era più pallido il suo viso
quando nei pomeriggi lo baciava
il sole come un cane d’oro.

Di piangere senza che lo piangessero
era il Principe pazzo:
nessuno [...]

[Qui si interrompe il manoscritto]



8

Porto fluviale

A volte, quando il remo cade,
mi spruzza di acqua gli occhi:
vado disteso, di fronte al cielo,
ebbro di un piacere silenzioso.

Mi do al cielo che mi copre
e mi abbandono alla corrente.
Oh l'allegria di arrendersi,
arrendersi, arrendersi sempre!

Dove vado? Da dove vengo
e chi mi aspetta? Che cosa mi importa!
La mia vita vale molto meno
che l'ala grigia di un gabbiano!

La mia vita galleggia sull'acqua
e la canoa scossa
porta - alla terra dove vado -
tutta la mia vita!

9

Quando ricordo che devi morire
mi vengono desideri di non andare via mai,
di rimanere sempre!
Perché muori? Come muori?
Ti chiuderanno gli occhi, ti uniranno le mani
come le unirono a mia madre morendo,
e sarà il viaggio, il profondo viaggio che non conosci
e che io non conosco perché tu mi volesti.

Non ti prenderò la mano
e non riposerai nelle mie parole tristi:
andrai
come venisti,
sola, senza questo corpo che cullarono i miei baci
e che si divorerà la terra in cui dormisti.

Lasciami possederti affinché in me perduri!
Lascia che ti faccia vibrare il vento del cuore
e come una corolla vuota in me il tuo profumo!

Baciami fino al cuore.
Trovami ora perché dopo non mi cerchi.
Seppellisciti nei solchi che mi stanno seppellendo
ed arrenditi nei miei frutti più alti e più dolci.
Che i tuoi occhi si finiscano di guardasi nei miei.
Di arrivare alle mie labbra che i tuoi seni maturino.
Separati dalle mie canzoni
come la pioggia dalle nuvole.
Immergiti nelle onde che da me stanno nascendo.
Scottati affinché mi illumini.

10

Amica, non morire!
Ascolta queste mie grida che mi escono ardendo
e che nessuno direbbe se io non li dicessi.

Amica, non morire!

Io sono quello che ti chiama nella stellata notte,
ebbro di amore, perduto di amore e di bellezza.
Sulle erbe verdi, quando il vento singhiozza
ed apre le ali ebbre.

Io sono quello che ti spia nella stellata notte
quando danza la ronda delle ombre immense.
Sotto il cielo del Sud, quello che ti nomina quando
l'aria del pomeriggio come una bocca bacia.

[Qui si interrompe il manoscritto]

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